Ad occhi spalancati nel buio, oltre la Belle Joyeuse

Erica F. Poli

Se c’è una cosa che non tollera è che si rida di lei.

Non importa che ruolo stia interpretando, dama da salotto, eroina guerriera, pietosa soccorritrice. Più che tutto è attrice di se stessa. Una grande attrice, quella capace di nascondere sino all’ultimo la verità su di sé.

Non importa quanto la lacerano le pulsioni. Un minimale, critico, ironico distacco, gli occhi enormi nel viso pallido, ammalia e tormenta, tra i tanti, Balzac, per il quale è più impenetrabile della Gioconda. A Chateubriand che declama la sua opera nel salotto bene dove l’ha portata La Fayette osa dire che si è annoiata a morte, e Chateubriand è conquistato.

E poi ancora Liszt, Chopin, Renoir… il grande storico Thierry…

“Quel volto non mi esce dalla memoria, Ella ci inquieta con un mistero impenetrabile… come il segreto dei suoi inconfondibili occhi, l’enigma rimane”

La Fayette, l’eroe di due rivoluzioni, che le cucina le uova, né lui né lei le hanno mai cucinate prima, nel buco che la principessa, ha trovato a Parigi, dopo la fuga dalla persecuzione del Barone Torresani.

Nella povera casa, molto nero, crocifissi, pugnali, un antico trattato sui veleni. Qua e là un pizzo, un vaso di Sevre a ricordare il lignaggio. E un bel teschio comprato al mercato nella via sotto per pochi franchi. E la casa si riempie di intellettuali.

Sa vivere di poco: semplice, quando non si hanno soldi, il segreto è non spenderli.

Insegna ricamo, disegno e musica.

La Fayette così galante e premuroso… parlano già del nonno innamorato della principessa sfortunata e il gioco è fatto. La sofferenza e le guance esangui danno il tocco finale e La Fayette, che spende fortune per pagare uno stuolo di giovani che per strada continuino ad applaudirlo, riconosce subito la stoffa della grande attrice: qualche ritocco alla tecnica, e la primadonna è pronta per i salotti parigini. Con Chateaubriand l’allieva ha superato il maestro.

Garzie a Torresani, finalmente povera e libera.

Il Barone Torresani… la voleva congiurata e monaca… -“in convento!”- un altro tormentato da lei.

Quell’ometto basso e tarchiato, che estorce confessioni con la verga. Nessuno l’ha mai desiderata così puntigliosamente, con le sue mani sudate, gli occhietti puntuti di pura smania delirante… lei se lo immagina come metterebbe quelle mani sulle sue lettere, come aprirebbe i suoi carteggi, in deliquio più che se scorresse le dita sulla sua famosa schiena, alla ricerca dei segreti della sfrenata messalina che vaga per il Paese seguita da giovani intellettuali rivoltosi, libertina e rivoluzionaria.

E infine ottiene il sequestro di tutti i suoi beni immobili.

Lei prima aveva già donato fittiziamente tutto il resto, ad impreziosire la dote delle sorellastre e far sì che Emilio potesse sedurre qualche altra donna a fiumi di champagne o andasse ad ingrassare le casse di qualche altro bordello.

Ah… Emilio… Emilio.

Da quegli occhi enormi di sedicenne appena andata a sposa al Principe di Belgioioso agli occhi della donna che lo vedrà morto e sfigurato dalla demenza: “le lacrime mai abbastanza da far piovere sul ricordo in memoria del mio nobile marito”, così dirà lei.

Il nobile marito, forse fu lì che la recita ebbe inizio. No, forse molto prima, quando era una bambina timida, occhi grandi, paura del buio.

Con Emilio morì il sogno di quella bambina.

Nacque la Principessa, senza marito, libera.

Adesso le si affollano nella mente tanti ricordi, che si intrecciano.

Le donne italiane come quelle francesi, nella migliore della ipotesi la maltollerano. Come si fa ad essere amiche di una che sottrae gli sguardi di tutti i presenti?

“la Belle Joyeuse è una cortigiana e ahimè anche un’intellettuale, cammina come dentro ad una cornice, vive in un appartamento arredato a lutto, la milanese verdastra”

Ma che ne sa una carnagione rosata della passione?

Di nuovo si introducono le memorie. Le deve seguire per un istante. Ma senza piangere e senza sorridere.

Per tutta la vita ha provocato l’altrui passione per la gioia di sentirsene illesa.

Se non avesse incontrato Emilio, se non fosse morta quella notte a prender coscienza dell’inganno che si cela dietro l’uomo, forse avrebbe avuto un bel destino da oca da salotto.

Invece no.

Lei sa che ad un certo punto è salita sul palcoscenico. All’inizio, se lo dice nel suo profondo, fu una pessima recita. Alla vigilia delle nozze, qualcuno lo disse: “Poiché indietro non si torna, render potrai solo corna per corna.”

Pronti a ridere del suo dramma comune e meschino di moglie allegramente tradita.

Ma non lei, che almeno non fosse il copione che tutti si attendevano, una principessa non cede alla sceneggiatura di nessuno. Intanto lei ed Emilio erano già divenuti personaggi.

Forse lo erano da prima: lui elegante, biondo, e patriota.

Non la guardava neppure: fu questo, la sfida.

Lo voleva e lo ebbe, con la verginità, la giovinezza, il modo di piegare il capo di lato come solo lei sapeva fare, imparando bene a sgranare gli occhi per renderli ancora più grandi, e naturalmente anche grazie ad una cospicua dote, la più ricca della Lombardia, eredità del Sacro Romano Impero e della Corona di Ferro.

16 anni e lui la rese la bella nobile eroina delle scorribande notturne per amore della Patria unita.

L’aveva fatta entrare nel romanzo che lei, tanti anni prima, ascoltava bisbigliare nei corridoi di casa. “Lo hanno arrestato ieri sera” e lì capì che i romanzi che leggeva smaniosa in ogni libro, dalle pagine del libro erano usciti a strapparle il padre. La bella Madre si seppe consolare non una volta, fino al terzo consorte.

D’un tratto il ricordo di sua madre: polvere di cipria e di rosa, Lei che scompigliava i capelli a Bellini… volteggiava intorno al fortepiano.

E come volteggiavano felici, insieme, a quella festa: l’ultimo vestito di Cristina, sposa apparentemente perfetta, di velluto viola, Emilio con il mantello verde, sua madre che danza fiera.

Quando lei ancora credeva di poter ridiventare l’unica per Emilio.

Per lui era già sufficientemente speciale il fatto di portarla nelle scorribande carbonare.

Lei lo avrebbe dovuto capire la prima notte di nozze. Troppi bordelli aveva conosciuto lui per ricordarsi come si fa a far l’amore con una vergine innamorata di te.

Ma lei voleva essere l’unica del suo cuore, ah, lo avrebbe cambiato, donna come tutte le donne a sognare quel che non esiste.

Era quel che c’era dietro. La delusione e la parola da cui non c’è mai commiato: sifilide. Così anche lei conobbe i bordelli senza esservi mai stata, mentre le sanguisughe succhiavano il rosso dal candore della sua decantata schiena.

Quanti pesi privati sanno sostenere le principesse.

Le propose di convivere con la sua amante. Allora pagò i suoi debiti e lo mandò via.

Senza separarsi da lui, poiché era lei che lo aveva raccolto. Fiore bello e disgustoso, nauseante il suo odore già marcescente, lo avrebbe messo magari in una teca, non del tutto lontano dai suoi occhi, di certo mai più sotto il suo naso.

Alla prima della scala, più bella e più pallida che mai, andò da sola, a farsi guardare ancora fiera.

A lutto per la morte di un sogno.

 

È lì che è nata, lei lo sa.

Lo ammette fugacemente a se stessa solo nei momenti in cui il vuoto si impadronisce del suo sentire. Poi via, come dopo pochi giorni che ha cacciato Emilio, via, vestita da uomo a ritirare 316 fucili cavalcando per i boschi della Versilia: cosa decide chi siamo?

Cristina volle essere lei e soltanto lei a deciderlo.
Cinque vite in una, figlie di contrasti che mai varcarono la soglia dei suoi occhi sgranati.

Piuttosto l’opera continua e la fierezza di una verità altrove.

 

È lecito contraddirsi, basta che la contraddizione non cada nella stessa pagina.

Madame de Sal

 

 

 

 

 

 

 

 

Post correlati