Il Dottor Schweitzer era fuori dal Tempo e sotto la critica spietata dei suoi tempi.
“Il governo del Gabon aveva fatto costruire, nella stessa Lambaréné, dall’altra parte del fiume, un moderno ospedale con cui, implicitamente, la moderna Africa evoluta e cosciente, lanciava la sua sfida all’arcaico «dottore bianco», cui un giornale locale rivolse l’esortazione a «tornarsene a casa».
I diplomatici occidentali avevano sepolto il vecchio copricapo dell’èra coloniale, che lui si ostinava a portare in testa, sostituendolo coi feltri e i cilindri dell’abbigliamento europeo, inadatti al clima meteorologico dei tropici, ma necessari per il clima politico.
Come se si rifiutasse di adattarsi all’emancipazione dei popoli.”
«All’epoca, avevamo il diritto di sentirci, di fronte all’indigeno, nella posizione del fratello maggiore, che vuole il bene del minore e che con la sua maggiore istruzione e intelligenza è in grado di giudicare ciò che più favorisce il suo sviluppo e il suo vero progresso… potevamo con fierezza constatare che i più intelligenti fra gl’indigeni vedevano il loro bene e il giusto modo per ottenerlo… malgrado tutte le insufficienze nei risultati, malgrado ogni negligenza, malgrado molti errori, avevamo coscienza di essere sulla via giusta. […]
Era il tempo in cui le colonie erano ancora colonie».
(Albert Schweitzer, 1951)
Non risparmiò giudizi sferzanti contro il colonialismo rapace e sfruttatore; ma sostenne che la vita delle popolazioni poteva e doveva essere elevata.
Non auspicò mai «integrazioni», né «osmosi», ma il rispetto dei tempi, dei mondi, delle culture.
«So bene», diceva, «che con una barca a motore si trasporterebbero gli alberi sul fiume meglio che con le pagaie dei miei negri; che le escavatrici spianerebbero il terreno per i nuovi padiglioni dell’ospedale meglio delle braccia umane. So anche che i negri di qui mi criticano per questo. Ma io voglio che essi imparino a lavorare e capiscano come il progresso non debba essere considerato un diritto e tanto meno un regalo, ma debba essere conquistato, soprattutto cambiando mentalità, abbandonando l’abitudine di pensare che tutto sia dovuto. Noi li curiamo, li strappiamo alla lebbra, alle malattie e alla fame, perché da soli non potrebbero sfuggirle; ma braccia ne hanno e lavorare possono, dunque debbono».
«Qualsiasi cosa voi facciate, non riuscirete mai a cambiare le loro teste», disse ai giovani entusiasti ed ignoranti del Peace Corp che gli annunciavano il proposito d’impiantare nel paese scuole secondarie di modello occidentale.
Ma tutto nei suoi intenti era destinato a invertire le parti, o parificarle.
«Un debito grava su di noi e sulla nostra civiltà. Non siamo liberi di scegliere se vogliamo o no fare del bene agli uomini di colore; dobbiamo farlo; non è solo atto di carità, ma di riparazione. Per ogni uomo che ha fatto soffrire, ne occorre uno che parta, e che porti aiuto… Le nazioni che possiedono colonie debbono sapere che si sono accollate una grave responsabilità… Gli Stati hanno certo l’obbligo di contribuire all’opera che si deve compiere… Ma uno Stato è incapace di adempiere da solo a questi doveri, che sono compito precipuo delle società e delle persone».
Occorreva il volontariato attivo e privato dei singoli.
Carità cristiana e senso dell’umano dovere di soccorrere i disgraziati si congiungevano con una virile tempra di educatore; chinato sulle più orrende piaghe delle malattie tropicali. Il suo bisogno di azione si fuse al pensiero teologico, filosofico, letterario e musicale.
La musica collante dei popoli.
Concertista raffinato, musicologo e filologo.
La musica fu disciplina severa, parente della filosofia, della teologia e delle scienze esatte.
Unita alla matematica esponenziale di Leibniz, al pensiero di Goethe, Kant e Thomas Mann.
Le colari di Bach, contrappunto (punto contro punto, nota contro nota), rappresentarono il senso di quella Missione, rispetto di “note” diverse, di Mondi nello stesso Mondo.
Allo spirito filantropico dei nuovi Missionari,
affinchè si risvegli e torni a vincere sulla Terra.
Le nostre missioni:
Artban
Tratto da: https://pierobuscaroli.it/la-sconfitta-del-dottor-schweitzer/