La triste fine delle Muse Ispiratrici.  

Auto-distruttività al femminile

di Ilaria Bruschi 

Cristina di Belgioioso è stata una donna che ha saputo ispirare ed incendiare l’animo dei giovani rivoluzionari italiani. Una figura fuori dal comune  con una vita molto diversa dalle sue contemporanee.  

Nel 1866 compone un saggio pionieristico intitolato: “Della presente condizione delle donne” in cui schiettamente descrive le umiliazioni e le prevaricazioni che le donne hanno dovuto subire e di cui cominciavano a prendere coscienza.

 

In quell’epoca molte sono le artiste animate dallo stesso ardore di Cristina ma che hanno vissuto rapporti amorosi travagliati, pagando a caro prezzo le travolgenti passioni di una vita libera da convenzioni.

Così Gustave Flaubert narrava poeticamente l’innamoramento, l’idealizzazione e la caduta delle illusioni: “Non bisogna toccare gli idoli, se non si vuole che la doratura resti sulle mani”.

Questa citazione non è dovuta al caso quando si tratta di due artiste che hanno dimostrato un precoce talento senza aver nemmeno ricevuto un’istruzione adeguata.

Le storie di Camille Claudel e di Elizabeth Siddal non sono solo storie di passione e follie romantiche ma sono storie di annientamento, allo stesso tempo contraddistinte  da un’ avida volontà di emanciparsi e di essere artiste.

Entrambe non sono mai state apprezzate come professioniste né dai propri compagni né dalla critica contemporanea. Entrambe non si sono accontentate di vivere all’ombra dei due artisti, nonostante Rodin e Rossetti  debbano  a loro la  propria ascesa pittorica.

 

“La donna non muore d’amore ma si spegne per mancanza d’amore”(citaz. Lou Von Salomè)

Camille Claudel (1864-1943) è stata una scultrice  e modella nella Parigi della fine Ottocento.

La sua vita, riletta con sguardo contemporaneo, getta una cupa ombra sulla carriera sfolgorante del suo amante, Auguste Rodin.

Camille giunge a Parigi dimostrando subito un precoce talento e invitata nell’atelier dell’artista per lavorare,  sboccia tra loro  la passione e un’ alchimia artistica travolgente, a tal punto  che non si potrà mai dire, osservando le opere prodotte in quel contesto,  dove inizia la mano dell’uno e inizia quella dell’altra.

La relazione fra Rodin e Camille durerà alcuni anni e la separazione determinerà l’annientamento totale dell’artista che culminerà in una magnifica opera intitolata L’abbandono. Essa, al solo sguardo, rende  immediatamente  l’idea del dolore  subito.

Purtroppo Camille non si separerà mai emozionalmente da Rodin né raggiungerà mai una emancipazione artistica, elaborando uno stile indipendente che le potrebbe garantire il riconoscimento dai propri contemporanei. Ella rimane cristallizzata nel dolore, bloccata nel processo dell’elaborazione del lutto; più tardi ne elaborerà l’angoscia e, dopo avere distrutto quasi tutte le sue opere, scivolerà prostrata nella solitudine; in seguito ingiustamente ritenuta pazza dalla sua famiglia, verrà  per sempre internata in manicomio.

Gelosia e tradimenti: un cocktail fatale

Molto simile è la storia di  Elizabeth Siddal (1829-1862) compagna di Dante Gabriele Rossetti (principale esponente dei Pre-Raffaelliti ), donna di raffinate doti pittoriche e poetiche, morta suicida a poco meno di trent’anni.

Elizabeth comincia la propria carriera come modella di Millais nel celebre ritratto di Ofelia, in cui Ofelia impazzita, giace suicida nel fiume: parallelismo infausto perchè fiordalisi e papaveri (amore e morte) ritratti nel dipinto  determinano,  anni più tardi,  la morte della stessa Siddal per una eccessiva dose di laudano.

Dante si  innamora subito di Elizabeth ma geloso del successo di Ofelia, le vieta di posare per qualsiasi altro artista, diviene così la sua musa e compagna ma bloccata professionalmente; la loro relazione diventa la scena drammatica di un‘opera appunto di Shakespeare, in cui vengono messi in scena frivoli tradimenti, furenti attacchi di gelosia e non vi è spazio per il perdono. Questa situazione mette in serio pericolo l’equilibrio psichico di Elizabeth che diventa schiava del laudano, non riesce più a dipingere né a scrivere poesie decretandone la sua fine.

I processi psichici alla base dell’auto-distruzione: come difendersi

Inesperienza e mancanza di autostima determinano nelle due artiste una sorta di percezione di essere incomplete e di cercare conferme nell’attenzione dell’amato e nell’accettazione da parte della società.

Questa mancanza, o vuoto, le rende completamente vulnerabili e attiva in loro un processo di errata proiezione: l’errore di attribuire all’altro caratteristiche che in realtà non riescono a scorgere in loro stesse facendo fruttare il loro talento.

Il partner è magnifico, molto spesso dotato di qualità che gli altri non hanno. A questo punto il processo d’idealizzazione, spinto dalla proiezione, ha già creato (a livello non consapevole), l’idolo.

Idolo che contiene valori desiderati ma impossibili da possedere e che in fondo loro stesse, non pensano di meritarsi: non raggiungeranno mai quella  sicurezza, realizzazione personale  che invidiavano ai loro compagni.

Lou von Salomé, nella sua opera “Riflessioni sulle problematiche dell’amore”, esprime la chiave per rompere definitivamente il dispositivo patologico dell’idealizzazione amorosa:

“Solo chi rimane completamente se stesso si presta a venire amato, perché solo così, nella sua pienezza vitale, può simbolizzare per l’altro la vita, essere avvertito come una potenza di essa. Non vi è errore più grande nell’amore dell’adattarsi timorosamente l’uno all’altro e di uniformarsi a vicenda”. 

in questo senso, la donna è chiamata ad essere musa di se stessa per rimanere fedele alla proprie ricchezza interiore, conoscere meglio  questi aspetti ed evitare così la caduta nella proiezioni illusoria, la simbiosi relazionale e l’annientamento emotivo.

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