Di nuovo, torniamo a misurare spazi e tempi.

In cucina, nulla è scontato, perché dobbiamo ricalcolare continuamente.

Il cucinino è oggi piccolo, si comprano scatole pronte all’uso. C’è il microonde, e un piatto di lasagne surgelate risponde al bisogno; ma delle pennette da cuocere nell’acqua e un vasetto di pesto fanno parte di un altro programma che l’industria ha previsto e il supermercato offre. Se il locale è più ampio, cambia poco perché il futuro della cucina di casa sta proprio nella sua declinazione collettiva, nell’esistenza di un sistema che guida le scelte, i consumi e i bisogni. E’ utile soffermarsi sulle mutazioni strutturali che questo comporta, e sul tempo per cucinare, per mangiare.

Che cosa è mutato? Non solo l’uso che ne facciamo, ma i suoi parametri. Il passato, quello degli zii dei nonni, diventa improprio a guidare i nostri comportamenti quotidiani. Un gran parlare di tradizione, mai nel dettaglio, esaminando la nonna che cinquant’anni fa lavorava o aveva un aiuto domestico o ancora cuoceva tutto da sola, sempre gli stessi piatti, quelli dei giorni correnti e quelli della festa. Se fingeva di consultare la Scienza in cucina di Artusi, era un tocco di maniera, disponeva di un forno a gas, di un frigorifero, e poteva, in tutta fretta approntare degli spaghetti alla rustica, pomodoro, aglio, prezzemolo e una foglia di basilico. I pelati ovviamente erano stati acquistati in scatola. Questo faceva mia nonna, ma se vado più lontano cambia poco, con una passata domestica, preparata a fine agosto e messa in bottigliette e conservata per l’uso. Artusi è stato il grande semplificatore della cucina italiana, che ha concesso e autorizzato varianti territoriali e domestiche, facilitando il lavoro di tutti e di tutte.

Se dopo di lui si è parlato di tradizione – un termine che non ha mai messo per iscritto – questo è stato un modo per mettere in sordina le rivoluzioni, dal frigorifero al freezer, dal gas all’induzione, dal mercato al super, all’ordinazione e alla spesa on line.

La tradizione è stato uno strumento per mettere sotto tacito controllo le novità, nelle strutture e nei consumi: autentica o creata apposta, secondo quanto aveva scoperto Hobsbawm, è diventata una chiave per riaprire il passato, per calcolarne puntualmente la variabilità, per dare alla cultura odierna una dimensione temporale soddisfacente.

Tutti i miti, dal manuale di Pellegrino Artusi ereditato, in famiglia, alle nonne in cucina che tanti manuali portano nel titolo di copertina, dalla ricetta autentica e originale, anche di un sugo per spaghetti, alla STG dell’Unione Europea (Specialità Tradizionale Garantita), sono tutti parametri di un ricalcolo approssimativo del tempo. Parametri della durata di una o due generazioni , trent’anni per la STG e almeno altrettanti per mamma e nonna. Obbediscono al principio della trasmissione fluida, ancorché virtuale, oppure evocano una ritualità estesa a tutti, italiani e non, affratellati in una lotta contro l’oblio e contro il piatto pronto, solo da riscaldare e assaggiare davanti alla tv. La serietà con cui la tradizione è accettata farebbe sorridere chi dietro una amatriciana STG pensa a un territorio raso al suolo da un terremoto e a un piatto di spaghetti con un sugo i cui ingredienti vengono da altrove, dal Lazio o da tutta Italia, sostituendo il guanciale di Amatrice con uno qualsiasi, e, nel caso, con la pancetta, o lo stesso pecorino sardo e laziale con il parmigiano. A chi obbietta che tutta la nostra cucina ha nelle variabili occasionali e nella semplificazione la chiave del suo successo, si risponde sempre con osservazioni di metodo e di procedura. E’ chiaro che gli spaghetti aio oyo e peperoncino che mia nonna preparava cosi bene sono replicabili a Buenos Aires, con aglio locale, olio europeo e peperoncino seco o picante, ma è meglio tacere e fingere di credere ai racconti familiari o stampati e fingere che sia unico il loro contenuto.

Supponiamo di cancellare dal nostro vocabolario il termine tradizione, e attenerci a una documentazione cronologicamente esatta. Non si evita il ricalcolo, sia di una ricetta di spaghetti alla rustica di Artusi ripetuta a casa, sia di una carbonara perfetta che Eleonora Cozzella declina con tutte le varianti territoriali, comprese quelle di Norbert Niederkofler nella sua Val Badia. A mutare è il calcolo spazio-temporale, in tutte le sue declinazioni.

L’uso ubiquo e ipotetico del web, rende fruibili tutte le varianti, comprese quelle soggettive del lettore-autore. Prendo una ricetta ed essa muta sotto i miei occhi, rendendo ipotetico sia il futuro sia il passato. La relatività è soggettiva-oggettiva e mi serve per interpretare quello che mi attende, con tutti i limiti imposti dalla crescita demografica, dalla globalizzazione delle culture, dalle mutazioni climatiche, dal riuso dei rifiuti. Questo non mi vieta l’illusione di una carbonara originale, attestata o meno, ma muta la percezione del suo progressivo divenire, del suo invecchiamento o della sua seconda giovinezza, facendo del consumatore di libri, web e spaghetti il destinatario occasionale e l’autore, a sua volta, di una ricetta fatta per essere ripetuta o dimenticata, orale o scritta.

Il web, ragnatela virtuale, è l'”apriti sesamo” di un mondo in divenire, futuro prossimo o futuro anteriore. Il prossimo implica una particolare attenzione ad alimenti mutabili-immutabili, a ricette che si adeguano o persistono, a uno scenario da scrivere o già certificato. Il futuro anteriore è il passato ricalcolato, riscritto oggi: nel caso di una amatriciana è l’inclusione del terremoto nel suo successo, prendendo atto di una documentazione depositata, di un marchio STG, di ricette “d’origine”.

Se qualcuno proferisse un “che cosa ne sarà della cucina?”, basta digitare per raccogliere pareri, per leggere del futuro di Amatrice e della nostra cultura, per risponderci a tono, data la perfetta sincronia delle operazioni, per credere o non credere a chi scrive.

Il Tempo non si misura solo con i numeri, e trova nel linguaggio indicatori plurimi e mutevoli. Errore ignorarli. Le due procedure, progressiva, dal passato al presente, e regressiva, dall’oggi al tempo che fu, sono superate da una visione triangolare del cibo che mette in conto il nostro futuro, prossimo e remoto, e analizza la piattaforma nella quale operiamo, la mega cucina urbana, industriale, da cui siamo nutriti in mille modi, e i cento, duecento poderi e piccoli mercati che se ne distanziano.

Al di là non c’è l’utopia né il nulla, ma lo spettacolo da noi creato combinando Vincenzo Corrado e siti web, con la musica in sottofondo, di bollori e fritture, di silenzi metallici e brontolii di un vecchio microfono destinato a tacere diventando sempre più attivo e indispensabile. Un alloggio, di cinquanta metri quadri, con microonde e un frigo su una parete non fa più paura, se in uno scaffale intravedi La scienza in cucina di Pellegrino Artusi, vecchia edizione BUR, e sai che anche la lettura di una ricetta è cucina, grande cucina. Ovviamente c’è chi deplora tale divenire, e fa ogni sforzo per conservare quanto gli sta alle spalle, oppure rinuncia a tutto sacrificando la biblioteca e giocando, colmo della contraddizione, su una tastiera.

E i ristoranti, le osterie, le paninerie? Fanno parte del sistema e sono le tessere del mosaico gastronomico che muta in continuazione, con stelle e app, proponendo di tutto o la medesima, eterna pizza. Questi approcci, questi saperi devono contribuire a creare la cultutra del nostro prossimo secolo, tempo di cucinare e di mangiare, e la scoperta di una fetta di melanzana alla griglia in un ufficio, ricordo vecchiotto, ricordo web, invitarci ad allargare le indagini con quella macchinetta a triplice movimento che è il nostro cervello. Questo è il tempo, o meglio la visione che ne intravediamo fra pentole e ricette, scatole bio e scatole freezer, dirottando lo sguardo ora sui macaroni ora sui petonciani, senza perdere di vista la crisi climatica e i resti di un sogno alimentare finito nella spazzatura, nel nulla, continuamente recuperato e riciclato.

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