Lentamente i soccorsi organizzati cominciano a filtrare fuori dalla Valle di Kathmandu e i suoi centri devastati in un raggio di poche decine di chilometri attorno alla capitale Kathmandu.
In particolare, dopo le prime ricognizioni, sono due i distretti ora nell’emergenza assoluta. Quelli di Sindhupalchowk e Gorkha, dove il 90% degli edifici sono stati abbattuti dal sisma di magnitudine 7.8 del 25 aprile.
Per dati ufficiali, parziali secondo le testimonianze in loco, sarebbero 191.058 le abitazioni distrutte e 175.162 quelle danneggiate. Con l’avvio tra poche settimane del monsone estivo e gli strascichi del lungo inverno che ancora pochi giorni fa ha scaricato nevicate sui centri terremotati in quota e abbondanti piogge in pianura, anche sopperire alle prime necessità di un rifugio temporaneo è un impegno immane. Insieme alla demolizione degli edifici pericolanti, costante minaccia per sopravvissuti e soccorritori.
A convergere su queste aree finora esterne della grande emergenza nepalese sono anche le squadre dell’Organizzazione internazionale delle Migrazioni (Oim) che cercheranno con altri di portare sollievo alle necessità di riparo e mediche di decine di migliaia di senzatetto. “Stiamo muovendoci ora fuori dalla Valle di Kathmandu per raggiungere località dove le necessità sono maggiori con lo scopo di crearvi due nuovi centri di coordinamento degli aiuti – segnala Brian Kelly, responsabile degli interventi nell’emergenza dell’Oim -. Non è uno scatto di 40 metri, è una maratona. Noi siamo qui dal 2006 e siamo determinati a restare per assistere i nepalesi finché sarà necessario”. Tra i loro compiti, come per altre organizzazioni umanitarie, è quello di occuparsi della distribuzione in loco di kit per il parto (esiste nel paese un’emergenza che riguarda ameno 50.000 donne in gravidanza, ora ancora più a rischio) resi disponibili dall’Unpfa (Fondo Onu per la popolazione) e teli e tende raccolti dalla statunitense Usaid e dalla britannica Dfid.
Sono finora 13.000 i teli impermeabili per le strutture provvisorie arrivati in Nepal e 115.000 arriveranno entro tre settimane. Come ricorda l’italiano Maurizio Busatti a capo della missione dell’Oim in Nepal, “La risposta all’emergenza è stata una sfida, complicata. I problemi sono enormi e in costante evoluzione”.
L’emergenza non riguarda però soltanto i vivi, ma anche i morti. Con migliaia di cadaveri recuperati in pochi giorni in un contesto di devastazione e di povertà ancora più acuta, anche i funerali sono un impegno immane, aggravato dalle condizioni atmosferiche che hanno trasformato per giorni i luoghi delle cremazioni, abitualmente vicini a corsi d’acqua, in distese fangose. Difficile fare arrivare il legname per i roghi funebri e difficile anche poterlo acquistare. Per questo il governo ha deciso di fornire gratuitamente il necessario per la pira. Spesso i cadaveri sono bruciati in massa dopo riti sommari nell’impossibilità di conservarli.
Per gli indù, il fatto che il luogo più sacro del Nepal, il sacrario di Pashupatinath presso il fume Bhagmati, non sia stato danneggiato è stato un segno della benevolenza divina verso il paese in quanto ogni devoto aspira a essere cremato qui anche se non per tutti è possibile.