Kenya – “L’ineguaglianza, il divario sociale, gli alti tassi di disoccupazione giovanile e la marginalizzazione di intere comunità forniscono fertile terreno di cultura all’estremismo. Per contrastarlo bisogna adottare un cambio di prospettiva”: ne è convinto Collins Wanderi, editorialista di ‘African Executive’, militare in pensione e difensore presso l’Alta corte del Kenya. La MISNA lo ha contattato a un mese dall’attacco contro l’università di Garissa nel nord del Kenya, rivendicato da Al Shabaab e costato la vita a 148 persone.

Cosa c’entra la disoccupazione con gli attacchi terroristici?

La presenza, nel commando armato che ha assaltato il campus, del figlio del governatore locale di Mandera, Mohammed Abdullahi Abdirahim dimostra che nessuno – indipendentemente dal suo status sociale – è al riparo dal cadere preda della retorica estremista. L’avanzare dell’ideologia radicale di Al Shabaab anche tra giovani laureati è il prodotto della crescente ineguaglianza sociale a cui assistiamo nel nostro paese e non solo. Persone che non trovano più posto in questo paese e non perché non abbiano capacità o titoli, ma perché restano ai margini della vita economica e politica, controllata da pochi appartenenti ad un’èlite.

Sta dicendo che la lotta ad Al Shabaab deve passare da una riforma sociale del Kenya?

Sto dicendo che lo scorso 2 marzo, centinaia di giovani hanno espresso sostegno ad Al Shabaab che all’emittente keniota Nation FM aveva dichiarato di voler attaccare il parlamento di Nairobi. Per molti giovani la nostra camera dei rappresentanti, il simbolo delle istituzioni keniane, rappresenta il perno della disuguaglianza nel nostro paese. I deputati guadagnano stipendi da capogiro, i più alti del continente africano. Girano in elicottero e abitano in ville hollywoodiane circondate da alti muri di sicurezza con tanto di guardie armate all’ingresso. Come se non bastasse utilizzano la loro posizione, i loro ruoli politici per favorire amici e parenti, alimentando un nepotismo da cui chi è escluso viene lasciato privo di opportunità, respinto ai margini della vita sociale ed economica.

Disuguaglianza, nepotismo e marginalità economica: quindi non è un caso che uno degli attentatori di Garissa provenisse dalla provincia di Mandera, una delle più povere e svantaggiate del paese?

Tra il 1967 e il 1992 la zona di Mandera è stata sottoposta alla legge d’emergenza. Nel 1962 è lì infatti che si era sviluppata una rivolta contro il governo centrale, repressa nel sangue. Agli abitanti era impedito uscire dalla provincia e col passare degli anni l’intera zona è rimasta fortemente sottosviluppata. Ancora oggi, per chi abita in quella parte del paese, non ci sono opportunità di emancipazione, neanche con un diploma – faticosamente raggiunto – in tasca.

Cosa pensa, in qualità di ex militare, dell’ipotesi – auspicata da molti all’indomani dell’attacco – che il Kenya ritiri le sue truppe dalla Somalia?

Penso che la guerra al terrore non consenta di mantenersi neutrali. E comunque un ritiro non servirebbe a nulla. I militari keniani mantengono il controllo su zone di importanza strategica come Kismayo, tagliando ad Al Shabaab i canali di finanziamento e l’accesso al mare. Una smobilitazione in questo momento lascerebbe un vuoto di potere di cui gli insorti potrebbero facilmente approfittare. Sono convinto invece che al Kenya serva una strategia di lungo termine in Somalia e un calendario che preveda tempi e modalità di riconsegna dei territori alle autorità locali.

L’offensiva militare, quindi, è una parte importante nel contrastare la minaccia terrorista sul Kenya?

Sì, ma da sola non basta. Bisogna cambiare paradigma. L’estremismo è un’ideologia e le ideologie non si combattono con i carri armati, ma con idee e politiche alternative. Un buon inizio sarebbe creare opportunità di emancipazione economica e sociale in tutte quelle arre in cui i terroristi ‘allevano’ e reperiscono nuovi adepti livellando le voragini del divario sociale e abbattendo i muri dell’arroganza dell’elite economica. Ma l’indifferenza della nostra classe politica a quanto sta accadendo sotto i nostri occhi è un punto debole che l’estremismo, ahimé, sfrutta a suo totale vantaggio.

Post correlati