Le fughe di esperienze di realtà virtuale (VR) consentono agli individui di trascorrere ore e ore in ambienti virtuali immersivi e interagire con i contenuti in un mondo che offre rifugio e illusione di una realtà alternativa: il meta-verso. Il Meta-verso è l’universo post-realtà, un ambiente multiutente perpetuo e persistente che fonde la realtà fisica con la virtualità digitale. Consente una comunicazione utente integrata in tempo reale e interazioni dinamiche con artefatti digitali.

Le potenzialità persuasive della VR vanno in moltissime direzioni:

in ambito terapeutico, come ad esempio (per la cura per l’aracnofobia o la claustrofobia),

per incrementare le performance sportive,

per indurre gli utenti ad acquisti (inutili), a rilasciare dati personali e altri aspetti negativi del web.

Il potere della presenza, è dato dalla capacità della realtà virtuale di prevedere i meccanismi simulativi della mente umana: applicando il concetto di presenza al funzionamento dei neuroni specchio, saremmo in grado di distinguere tra noi e l’altro e generare delle interazioni sociali credibili anche all’interno di una social VR.

Immaginando di condurre una seduta terapeutica nel meta-verso, trovo qualche lato positivo.

Si può sperimentare l’immersione terapeutica in contesti tipici di alcune fobie (paura del volo, fobie sociali, rupofobia e via dicendo), accompagnando il paziente in questo viaggio.

Si può cercare di capire meglio lo stile relazionale del paziente (ricreare la situazione che ci raccontava per vedere le differenze tra come si comporta realmente e ciò che diceva di fare/dire).

Occorrerebbe trovare il giusto equilibrio tra meta-verso e realtà, nella consapevolezza che anche se una riunione tra colleghi, una seduta, un incontro tra amici nel meta-verso ci sembri reale, non lo è.

Ciò che vorrei fare sarebbe continuare a vivere nella realtà, senza rischiare di cadere in questo vortice (il meta-verso), piuttosto utilizzandolo come fonte aggiuntiva alla realtà, che può aiutare in momenti in cui un incontro reale può essere complicato.

Con il meta-verso: secondo quale tempo devo ragionare e agire? Un tempo reale, come l’ho sempre conosciuto,  un tempo virtuale, in cui si perde il concetto di tempo ed è sempre possibile fare le proprie attività.

Il bisogno di un atemporalità, di non sentirsi sottostanti al tempo e di voler scegliere quando fare le cose.

L’identità si è trasformata: si vende sul mercato globale dei social network e si gioca a chi ha più followers e più “mi piace”.

Immersi in questo meta-verso, cosa si può fare?

Esistono simulazioni dell’identità, adattandola a ciò che vuole vedere chi ci segue, senza porsi dei limiti morali, ma sempre in cerca di un’approvazione, che porta a questa “falsità” tra le persone (se prima due persone erano amiche, per la fama e i “like” ora farebbero di tutto pur di non perdere questa nuova identità).

Si è creata un’ossessione per la vita degli altri: bisogna sempre controllare cosa stanno facendo, altrimenti non si vive bene. Questa dipendenza crea paragoni e confronti malsani: si crede che ciò che si vede sui social sia la realtà, pensando “gli altri stanno meglio di me”. Non c’è cosa più distante tra queste due vite parallele (i social-la realtà).

Qual è il Dio di questa nuova era?

Personalmente, lo associo con gli algoritmi, che osservano ciò che ci piace di più, guardano le ricerche che facciamo su internet, per quanto tempo abbiamo guardato una foto/video, per tenerci attaccati ai social, non farci annoiare mai.

Sembra tutto gratis, senza lati negativi. Ai giorni d’oggi  i ragazzini delle elementari o medie hanno già un profilo sui social, e dubito siano consapevoli che per ottenere tutto ciò gratis, qualcosa dovranno pur dare in cambio (i dati).

Margherita Rigoni

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