Editoriale

Concerto a quattro mani, canone inverso

Matilde e il sogno di salvare la grande musica d’Italia 

di Erica Poli e Maurizio Grandi

Di certo la musica come i fasti non mancarono alla Sua corte.

Meno espliciti e ostentati, forse, di quelli del padre Bonifacio, viste le somme ingenti che Matilde impegnava per la causa della riforma gregoriana.

È il poema di Donizone a narrare lo scenario della corte dei Canossa e le sue magnificenze.

Tanto per fare un esempio, Donizone narra che, quando Bonifacio si reca in Lorena a chiedere in sposa Beatrice, la madre di Matilde, portando doni di ogni genere, fa ricoprire d’argento la ferratura dei suoi cavalli senza ribattere i chiodi.

In questo modo i cavalli corrono, l’argento salta via e la gente lo raccoglie a testimonianza della sua ricchezza.

Similmente, quando Matilde va a cavallo porta sempre speroni d’oro che è pronta a donare per costruire una chiesa.

Mentre ospita nello splendore Papi e Imperatori, dona generosamente a chiese e monasteri per l’assistenza dei poveri, degli infermi e dei pellegrini.

Giunta alla fine della sua, per l’epoca, lunga vita, affrancherà i suoi numerosissimi servi.

Feste, banchetti, doni magnifici costellano la vita della corte, insieme alla musica che Bonifacio adora.

Donizone narra della sua Cappella musicale “di cui nessun vescovo aveva l’uguale”.

Una Cappella musicale era costituita da un gruppo di cantori e strumentisti diretti da un maestro di cappella.

Molto famose e strutturate nel Rinascimento, le Cappelle di musica trovano proprio il loro antecedente nelle scuole di canto dei monasteri medievali.

La più antica Cappella come si riscontra dai capitolari, fu quella della Cattedrale di Padova, tristemente chiusa negli anni sessanta del novecento.

Alcune a Roma, a Genova, a Milano, Firenze ancora sopravvivono e su impulso dei rispettivi Ordinari, molte cattedrali d’Italia che avevano perduto la propria Cappella l’hanno ritrovata.

La Cappella era molto più che un coro: era l’alveo della grande scuola di composizione italiana.

Le cappelle musicali infatti con il tempo, non solo si convertirono in strutture di interpretazione musicale, ma anche in centri di composizione, di copia e diffusione della musica, e nelle principali scuole di musica di questo lungo periodo che dal Medioevo copre l’intero Rinascimento. Le famiglie che scoprivano delle attitudini musicali nei loro figli e desideravano dare loro un’educazione musicale di qualità con frequenza li inviavano nelle cappelle di maggior rinomanza.

In generale il maestro di cappella era il responsabile ultimo del buon funzionamento della cappella: responsabile nel determinare il repertorio da interpretare, responsabile della composizione, nell’ottenere copie di repertorio provenienti da altri centri allorché fosse desiderabile, nell’insegnare canto e musica in generale ai bambini o adolescenti che cantavano le voci superiori nella polifonia.

Il maestro di cappella dirigeva il gruppo nelle sue interpretazioni, e rappresentava i musici davanti ai responsabili dell’istituzione a cui apparteneva la cappella.

Durante i secoli, l’incarico di maestro di cappella rappresentava il massimo grado al quale poteva pervenire un professionista della musica, ragione per cui molti dei compositori dal XV al XVIII secolo esercitarono il ruolo di maestri di cappella. 

Un legame profondo unisce monasteri, musica e grande composizione.

Il mondo dei Canossa al crocevia di queste strade.

Del resto, la relazione con la musica era nel DNA della Famiglia: lo zio Tedaldo vescovo di Arezzo, fu protettore del monaco Guido di Pomposa conosciuto anche come Guido d’Arezzo, inventore della nuova notazione musicale, con la sistematica adozione del tetragramma.

Guido fu monaco benedettino e curò l’insegnamento della musica proprio nell’abbazia di Pomposa nelle terre del Ferrarese.

Lì, notò la difficoltà che i monaci avevano ad apprendere e ricordare i canti della tradizione gregoriana e la ritmica della musica. Per risolvere questo problema, ideò e adottò un metodo d’insegnamento completamente nuovo, che lo rese presto famoso in tutta l’Italia settentrionale. L’ostilità e l’invidia degli altri monaci dell’abbazia, a quanto pare, gli suggerirono di trasferirsi ad Arezzo, dove si pose sotto la protezione del vescovo Tedaldo, a cui dedicò il suo famoso trattato: il Micrologus.

Per aiutare i cantori, Guido aveva usato le sillabe iniziali dei versi dell’inno a san Giovanni Battista di Paolo Diacono per denotare gli intervalli dell’esacordo musicale:

(LA) «Ut queant laxis
Resonare fibris
Mira gestorum
Famuli tuorum
Solve polluti
Labii reatum
Sancte Iohannes»
(IT) «Affinché possano con libere
voci cantare
le meraviglie delle azioni
tue i (tuoi) servi,
cancella dal contaminato
labbro il peccato,
o san Giovanni»
(Inno a San Giovanni)

Da esso derivarono i nomi delle note Ut (poi sarebbe divenuto Do)-Re-Mi-Fa-Sol-La-Si.

E qui ci troviamo ad un crocevia vertiginoso.

Pensare che la musica come la conosciamo noi, con il do re mi fa sol la si, fino al tempo di Matilde non esisteva e in quel tempo nacque … vengono i brividi per un istante… 

E sono brividi non solo di stupore, ma di paura.

Dove sta andando o è già andata a finire la tradizione musicale italiana, che non è solo di bel canto, ma anche di grande composizione? Il vuoto tra la sinfonica e le canzonette avanza, il vuoto di una politica e di una cultura sociale che sembra ignorare la grande arte italiana, in tutte le sue manifestazioni, perché appunto non la studia e non la conosce.

Eppure ci vuole la musica in ogni cosa, ci vuole l’armonia: si dice “bisogna cambiare musica”…

Forse bisogna tornare a celebrare la musica della grande tradizione, le radici della musica che proprio nel Nostro Paese affondano nelle antiche storie, tra politica e religione.

Farebbe bene ai cuori, alle menti e alle cellule.

Uno per tutti, una icona, come Riccardo Muti, si è levato più volte a denunciare il degrado di oggi e continuare a battersi per il sogno di salvare la musica, quella vera.

Il mio sogno? Salvare la musica.

Un sogno da condividere, un sogno che non si può non sognare.

https://www.riccardomuti.com/2017/12/19/mio-sogno-salvare-la-musica/

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