di Erica Poli

Tira un vento gelido. 

I due sono arrivati che era già buio, nella locanda che trasuda, un po’ per tradizione un po’ per turismo, storia matildica nei quadri alle pareti, sui libri delle mensole, e negli arredi del piacevole salotto.

Sono saliti su quelle colline che preludono all’Appennino in macchina.

Lei voleva fermarsi, ma lui non ne aveva voglia… “è tardi, non arriviamo più”.

Allora lei si era messa a leggere, incurante della nausea che le dava la lettura in auto.

Aveva organizzato tutto nei dettagli, da tempo aveva una sorta di appuntamento con Matilde.

Il libro parlava delle leggende del popolo sulla Gran Contessa, leggende che sono ancora vive nel Reggiano degli Appennini.

A parte la questione del Papa e dei cento ospizi da costruire con le rispettive chiese: che rabbia che ne avesse costruiti solo novantanove prima di morire… chissà se il Pontefice glielo avrebbe dato davvero il priviliegio di celebrare la Messa…

Le altre erano leggende a metà tra il magico e il religioso: una narrava di un intervento divino, che avrebbe dato la vittoria alle milizie matildiche nella battaglia condotta nel 1092 contro l’esercito imperiale, in territorio canossiano.

Poco prima dello scontro, la contessa invocò l’aiuto della Madonna che comparve tra le nubi a confortare Matilde, con il Bambino tra le braccia e un angelo che suonava una musica armoniosa con la cetra. Subito dopo, una nebbia fittissima (di cui parla anche frate Donizone) disorientò i soldati nemici e permise alle milizie canossiane di sferrare l’attacco decisivo e conseguire una completa vittoria.

Pochi mesi prima aveva compiuto 24 anni, e questo era uno dei regali del compleanno, un suo desiderio che alla fine aveva deciso di organizzare da sola. Un po’ come Matilde, ad orchestrare da sola il potere, la corte, l’amore…

In effetti lui si sta rivelando più un intralcio che un compagno… torpido, svogliato. E’ pur vero che in questo caso “fa” l’accompagnatore, ma non finge neppure un interesse da minimo sindacale.

fa freddo”, “non vedi che c’è la neve ghiacciata, si scivola”

Sono le sette di sera, mentre lui controlla la casella mail, lei scende ad aspettarlo per la cena passeggiando un po’.

Lo vuole sentire quel vento, quel pungere del freddo sulla pelle delle guance.

Si ferma immobile nel buio, la immagina a cavallo.

Qualcosa nella sua mente affianca Matilde e Giovanna d’Arco.

Qualcosa che anche lei conosce bene.

E’ difficile descriverlo, quel fuoco che arde, sensuale e devoto al tempo stesso. Forte e fragile guerriera amante…

E’ solo un attimo, poi il vento se lo porta via.

Un brivido ricorda i tortelli che lui starà già ordinando.

Lo sciogliersi del ripieno caldo insieme al parmigiano tra le labbra e sulla lingua dona un piacere morbido che per un attimo la riporta al presente.

Tra due giorni la commemorazione in costume della grande umiliazione del gennaio del 1077.

Sono anni che ci voleva venire e finalmente la vedrà.

Domattina lui ha già detto che deve lavorare. La differenza d’età si fa sentire, lei, che ancora studia, è libera. O forse è una differenza di visioni… Ma è meglio così, anche lei, mentre finge di dispiacersi, sa benissimo che è così.

Lui forse è dispiaciuto davvero, forse perché deve lavorare.

Risalgono in camera e a lei viene in mente quando Matilde si presenta nuda allo svogliato sposo sedicenne, ultimo dei castelli e dei territori che gli ha promessi. Lui gira sui tacchi e se ne va.

Per un attimo è come se un urlo sommesso di donna le trapassasse la testa.

È sempre l’eterna ferita del vuoto, la mancanza persino genitale del femminile che lo dispone a ricevere, e naturalmente anche a non ricevere.

Eppure è la mancanza che permette la trascendenza.

La mistica è figlia del femminino sacro, che sia in una donna o in un uomo, poco importa.

Le parole di Donizone la accompagnano al sonno, parole dolci, di qualcuno che la amò.

Il mattino dopo, la colazione con la torta con la marmellata di susine della zona, un bacio sfiorato sulle labbra, lui sta già leggendo i dati degli indici di Borsa.

Lei si incammina. Aveva scelto quel piccolo hotel proprio per poter girare a piedi.

Arriva in una delle sue mete.

I ruderi del castello di Canossa, dove avvenne la grande umiliazione.

Il vento è più gelido del giorno prima.

Lei si siede e rimane lì per un tempo incommensurabile.

Guarda alternativamente l’orizzonte terso e la terra, dove Lei camminò.

Per un attimo pensa all’Imperatore: forse la sua più profonda vittoria fu resistere al freddo e al gelo tre giorni e tre notti… una vittoria sul corpo, sul patimento, qualcosa che oggi pochi reggerebbero.

Al di là della storia, cosa avrà prodotto sul suo spirito…

Poi guarda oltre i ruderi, dove Lei si affacciò.

Matilde è tra le donne della sua ispirazione, in un tempo in cui sembra tutto troppo finto.

Lei torna al passato, dove le sembra di trovare una appartenenza d’anima.

Matilde che fu diplomatica e guerriera al tempo stesso, sacra e profana nello stesso battito di cuore.

Guarda l’anello che porta all’anulare, promessa di una felicità che non può essere certa… ma qui non ci sono ruscelli e trote per pensare di perderlo e vederselo restituire da una pietosa creatura dell’acqua come narra la leggenda di Matilde ad Orval.

Scendendo lungo il sentiero, pensa che forse in futuro scriverà un libro di fiabe per bambini, la prima sarà Matilde.

Post correlati