“Io la Musica son…” Così ha inizio l’Orfeo, favola in musica di Claudio Monteverdi.

La rappresentava a Mantova nei primi anni del 1600 per l’Accademia degli Invaghiti rendendo così immortale il suo genio di musicista prismatico e profondamente innovatore. Ed ora io porgo a voi questo ricordo per aprire il cammino che d’ora in avanti ci condurrà laddove il suono è la bussola per riarmonizzarsi. Siamo Suono e quando perdiamo l’accordatura con il Suono dell’Universo, abbiamo bisogno di riaccordarci.

Giovane studentessa del Conservatorio, fu proprio dopo aver assistito all’Orfeo che immaginai per la prima volta la Musica come una persona, una guida amorevole. E fu questa la scintilla che diede il via al mio personale rapporto intimo con Lei. Mentre fino ad allora frequentare le lezioni delle varie discipline musicali pomeridiane, rappresentava oltre al piacere, anche un sacrificio, dovendo distribuire gli impegni di studio nell’arco della giornata tra Scuola e Conservatorio, dopo l’incontro con Monteverdi, piacere e sacrificio hanno camminato a braccetto in nome della Musica che ha inondato la mia vita ed è diventata sorella, energia, sostegno spirituale.

Monteverdi, infatti, nell’Orfeo dà alla Musica una veste, un volto, un’andatura: è una donna bella ma non leziosa, una donna regale che a passi lenti si fa avanti per parlare agli spettatori, predisporli ad aprire i sensi all’ascolto, alla compenetrazione emotiva di quanto sta per essere narrato: il felice ma sfortunato amore tra Orfeo e Euridice. La Musica non è, dunque, musa ispiratrice bensì guida spirituale che accompagna Orfeo negli inferi per riprendere la sua amata e ridare vita al loro amore così duramente colpito dalla morte di lei ancor prima delle gioie coniugali.

“Io la Musica son ch’ai dolci accenti so far tranquillo ogni turbato core, ed or di nobil ira ed or d’amore posso infiammar le più gelate menti”, declama, consapevole di essere la custode di un potere, quello di plasmare l’ira ceca in “nobil ira”, il gelo dell’animo in fuoco che scalda e scioglie il ghiaccio dell’indifferenza all’altrui pena.

E come può la Musica condurre Orfeo nel suo difficile viaggio fra ostacoli e incontri malevoli? Con la cetra che per suo volere, nelle mani di Orfeo, diventa espressione dei suoi sentimenti più profondi, della sua forza interiore, del suo coraggio nel chiedere l’impossibile a Proserpina: riportare in vita la sua Euridice. “Io su cetra dor cantando soglio mortal orecchio lusingar talora e in questa guisa a l’armonia sonora de la lira del ciel più l’alme invoglio”, recita solenne per catturare l’attenzione degli astanti e farli così partecipi del racconto: “… Quinci a dirvi d’Orfeo desio mi sprona, d’Orfeo che trasse al suo cantar le fere e servo fe’ l’inferno a sue preghiere… Or mentre i canti alterno or lieti or mesti, non si muova augellin fra queste piante né s’oda in queste rive onda sonante ed ogni auretta in suo cammin s’arresti”.

Ecco la Musica chiedere con ardore il massimo coinvolgimento emotivo non solo agli spettatori, ma alla natura, agli uccellini, all’acqua che dovrà scorrere silenziosa, ad ogni piccolo sussurro del vento, affinché solo la cetra possa svolgere il suo compito di condottiera ammaliatrice che, infine, possa condurre Orfeo fuori dagli Inferi con la sua amata.

Sono passati quattro secoli da allora e Lei, la Musica, continua a parlarci per portare allo scoperto le nostre emozioni e potenzialità nel movimento continuo che è la vita. Entriamo, dunque, in risonanza!

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