Aprire una breccia nel futuro

Il  mondo  ha  bisogno  di  ottimismo, perché «l’ottimista crede negli altri, mentre  il  pessimista  crede  solo  in  se stesso»
(G.  K.  Chesterton).

Il mondo che  abitiamo  e  che  spesso  ci  affascina  per la  sua  grandezza  e  bellezza,  è anche  il mondo  in  cui  si  manifesta  sempre  più  una violenza  dilagante,  che  sparge  ovunquedistruzione  e  morte: guerre, catastrofi, a volte causate anche dall’incuria dell’uomo, malattie, terrorismo, povertà.
Tanto  che  sembra  inevitabilmente prevalere  l’atteggiamento  di  coloro  che finiscono  per  arrendersi  o  per rassegnarsi all’assurdità del caos che regna sovrano. Eppure  non  è  così.  O  almeno,  non  è ineluttabile  che  tutto vada in questo modo perché, nel mezzo degli eventi appena richiamati, si contano anche gli ottimisti.
Non di un ottimismo che si limita a girare alla larga dalla situazione presente, aspettandone al più presto la fine.
Ottimismo viene dal latino opt mus, superlativo di bonus: è, come affermava il pastore luterano D. Bonhoeffer – imprigionato e fatto impiccare da Hitler – una forza vitale (Lebenskraft), che afferma e riconosce i segni di bene presenti nelle cose.
Il lemma deriva dalla radice ops, opis,che contiene il significato di forza e ricchezza: entrambi i significati connotano l’atteggiamento degli ottimisti, tra le avversità e la tragicità di tante situazioni. In esse, l’ottimismo si traduce  concretamente  in  impegno  e determinazione  per  costruire  un futuro migliore,  per  il  quale  si  è  disposti anche ad assumere e a caricare su di sé i drammi presenti nel  mondo, per affrontarli realisticamente.
L’ottimista non ignora i problemi e nemmeno li relativizza in modo superficiale; non fugge dal mondo in modo irresponsabile chiudendosi  in  se stesso  e  lasciando  agli  altri  decidere  ciò che  dovrà  accadere;  al  contrario,  lavora con responsabilità  e determinazione, accettando gli  errori  e  i  fallimenti,  con  la convinzione  che  è  possibile,  appunto,costruire un futuro migliore. L’ottimista è colui che è capace di aprire o intravedere una breccia nella complessità talvolta tragica  della  realtà  che  lo  circonda. Una condizione, questa, che  il  filosofo  francese Emmanuel  Mounier definiva con un ossimoro solo apparente: «ottimismo tragico». Nella complessità talvolta tragica può farsi strada l’ottimismo. Non molto. Un po’. Quel che basta per non rimanere paralizzati, per esprimere un’idea, per spingere lo sguardo un poco più in là e, semmai, per scrivere una pagina che magari qualcuno leggerà,anche se poi sparirà per sempre oppure per tendere una mano e ritrovarsi magari in due a non morire sopraffatti dal negativo e anzi a spingere in avanti.

Ottimisti tragici per contribuire a rendere più vivibile la nostra società che reclama la libertà, ma non la vive, che proclama l’uguaglianza, ma non la pratica, per non parlare poi della fraternità.

Mons. Nunzio Galantino

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