di Erica Poli e Maurizio Grandi

La storia delle donne è innegabilmente storia di una assenza, di un invisibile, di qualcosa di celato come celati, nascosti, segreti sono i genitali femminili, come mancanza, vaso, calice è l’utero che nel corpo femminile palpita dal profondo, come cuore viscerale dell’accogliere e del far crescere.

Non vi è dubbio che nei secoli questa peculiarità sia stata più e più volte strumentalizzata al potere di un principio maschile deteriore e deviante dal maschile degno di quel nome.

Il culto della Dea, Isha, Iside, Ishtar, Astarte, culto del mistero della Vita, che quella mancanza uterina va a riempire e con la quale concresce, e può solo grazie a quel vuoto che le dà spazio, pian piano è stato dimenticato, sceso sotto la crosta delle società come l’acqua scivola tra le fessure della terra sino a diventare sotterranea.

E sotterraneo ha continuato a scorrere, mentre alla superficie bruciavano i roghi.

Inutile ripetere ancora quanta violenza ha imbrigliato Eros, quanto riduzionismo ha schiacciato il principio d’Amore nella storia e nella cultura.

Ma c’è un canone inverso.
Suona le stesse note, ma le legge all’opposto.
È il controcanto simmetrico della musica di distruzione e di separazione: un canto di unione e di creazione.
Suonati assieme i due canti, cosa accadrebbe?
Quale reazione fisica, chimica, simbolica?
Operazione a due vasi, a due canoni, a due che diventano uno.

Il canone inverso suona lungo il crinale delle vite di Uomini che hanno amato le donne e forse, necessariamente, in segreto.

In una società che delle donne ha odiato il potere, quegli Uomini se ne sono lasciati toccare, in una forma che sublima il senso dell’incontro tra maschile e femminile, ben oltre le lenzuola del talamo, che coglie e insieme trascende quelle differenze genitali che non sono che l’incarnazione di due principi sottili, la traduzione fisica di movimenti metafisici, del penetrare e del ricevere, canoni inversi dell’opera di creazione e trasmutazione alla base della Vita.

Quegli Uomini hanno inteso del Femminile il potere trasmutativo, l’essere terreno magicamente adatto alle alchimie che trasformano il sogno in figlio, la tenerezza in latte, la passione in sofia.
Per tutti quegli Uomini, l’incontro con il Femminile è stato incontro con l’Anima, ricongiunzione dell’Anima con il Divino che la abita dentro.
La Donna, la sua Bellezza, come tramite per l’unione mistica.
La sua mancanza metafisica forse non può che essere segreta, non può che darsi nel mistero.

Fedeli d’Amore, dunque, per chi voglia intenderne il nome, alla ricerca dell’Anima.
E la storia sotterranea dei Fedeli d’Amore è pervicacemente percorsa nel segreto che attiene necessariamente al sovversivo di un Femminile che è libertà d’anima e di pensiero, ideale del cuore oltre il reale della mente, Chiesa d’amore e non di materia, potere sottile e non spesso.

Una lunga, forse infinita storia… dapprima donne baluginanti nel mito che le rende astoriche, esistite o forse mai esistite, nel mondo delle dee come Semiramide.
Poi tra le piramidi, uomini che si incubavano nell’oscuro incontravano la Vita.
Ermete Trismegisto, Pitagora e i Pitagorici della dea esploravano, la musica, la matematica, i pianeti e i misteri.
Platone nel Simposio percorre il movimento d’Amore, quello che sarà il quarto movimento di Marsilio Ficino per l’unificazione dell’Anima con Dio, vibrando di neoplatonismo con Plotino, con Ipazia…

E giunge il tempo del Poeta.
Dante Alighieri o Aldighieri che dir si voglia, scrive la Divina Commedia.
Nella Lettera al Convivio è Lui stesso a indicare quattro modi per l’Opera: il modo letterale, quello simbolico, quello morale, e infine l’anagogico.
Anagogico per ascendere al Divino: al centro la Donna.
Donna come Amore incarnato, come tramite del divino in terra.
Donna come Anima di cui Uomo, Chiesa e Stato hanno bisogno vitale.
Insieme a Dante i Fedeli d’Amore: Animus et Anima. Canone inverso.
In quella Toscana che è crogiuolo di arte infinita.
Beatrice e tutte le Donne della Divina Commedia, come tessere di un mosaico che nell’insieme ritrae il segreto dei segreti.

Il segreto decorre oltre l’Inquisizione, nel genio di Leonardo, oltre le prigioni di Galileo, nella scienza di Newton.
Un segreto lontano come un Graal per Trovatori e Templari.

Un segreto che unisce sottilmente ancora gli animi alla corte di Cristina di Svezia.
I Fedeli d’Amore, sono forse diventati, qualche secolo dopo, il Cenacolo alchemico della Regina libertina e disinvolta, scandalosa e incredibilmente intoccabile.
Stabilitasi a Roma come la convertita più famosa del suo tempo, portava con sé già un bagaglio di incontri, dialoghi, ricerche, sul crinale dell’alchimia.


L’aspettativa rosicruciana dell’avvento di una nuova era, spirava sin dagli ambienti paracelsiani del nord Europa, sino a Roma.
Cosa cercavano Johannes Bureus, Johannes Franck, Michel Le Blon, Johannes Schefferus, Lucas Holstenius con cui Cristina intratteneva contatti?

Quanto Cristina conoscesse davvero le profondità di ciò con cui amava intrattenersi non è dato saperlo del tutto, ma non vi è dubbio sul potere attrattivo di una corte, di un cenacolo, di una accademia nei quali sul limitare del moderno razionalismo, regnava ancora il potere dell’antica philosophia perennis, dove la visione aristotelica della donna come uomo incompleto, era superata dalla visione alchemica e neoplatonica del perfezionamento androginale delle opposte polarità.
Nella raccolta dei quaderni di Cristina, si legge la prima descrizione della sua abdicazione e del viaggio a Roma. Inaspettatamente compare la frase “… la natura perfetterà l’opera”.

Opera e natura, maschile e femminile.
Ancora una volta, canone inverso.

Per fare il miracolo della cosa unica, come recita la Tavola Smeraldina.

Sulla soglia della Porta Magica di Villa Palombara che il Marchese Massimiliano Palombara fece costruire nel 1680, secondo la leggenda come commemorazione di una riuscita trasmutazione che avrebbe avuto luogo proprio negli appartamenti di Cristina, un altro canone inverso, una palindrome, attende: Si sedes non is.
Da sinistra a destra “se ti siedi non vai” e da destra a sinistra “se non siedi vai”.

Il viaggio è lungo, verso Amore, che nel Simposio platonico è figlio di penia, la mancanza, e poros il cammino per colmarla: femminile la mancanza, maschile il cammino.

Il viaggio è lungo oppure basta non sedersi, sulle banalità, sulle convenzioni, sulle riduzioni del mistero a tecnicismo, basta un canone inverso, suonato assieme nei due principi del carnale come del sublime, perché il viaggio accada, partenza e arrivo coincidano, misteriosamente nel segreto.

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