Questo primo incontro segna l’inizio del viaggio che, accompagnati da “piffari” e “trombetti” percorrerà, seppure a volo d’uccello, la strada riservata a quella che oggi è denominata Banda, prendendo qua e là spunti storici e curiosità. Non sempre questo termine è stato identificativo di banda come insieme di fiati e percussioni. Nel ‘600 indicava anche un complesso d’archi come in Francia il famoso “Petit violons du roy” e “I 24 violons du roy” istituiti da Lully. In Inghilterra Band sta per complesso strumentale, mentre in Germania: Harmonienmusik sta a significare musica per soli fiati. In seguito si parlerà anche della “Fanfara” che si distingue, ancora oggi,  per storia ed organico, dalla Banda.

Attualmente per noi, “Banda” è sinonimo di musicisti in uniforme (militari e non), organico composto da strumenti a fiato e  a percussione, e in un certo senso la collochiamo in un preciso spazio ad essa riservato e ne riconosciamo l’identità sonora e sociale più che militare. Infatti oggi la Banda non odora più di Risorgimento, ma proprio in quel pezzo di storia  ha consolidato la sua personalità configurandosi come “complesso musicale” che svolge una funzione pubblica, destinata ad una fruizione eterogenea, di persone, di età, di ceto sociale.

Questi incontri non vogliono sostituirsi, nella tematica trattata, agli storici che hanno documentato e scritto  su questo argomento, ma intendono  dare un semplice contributo a chi “volesse saperne di più” rispetto alla conoscenza acquisita per eredità dai nostri padri.

Fra gli studiosi e musicisti che si sono occupati dell’argomento, emerge la figura di Alessandro Vessella, compositore, storico, direttore di Banda, il quale ha creduto fortemente nel lavoro di “ intermediario” fra la Musica e il Popolo, che, nella veste di spettatore diventa compartecipe dell’evento musicale. Infatti il valore della Banda è proprio questo: riuscire a creare la partecipazione del pubblico  attraverso le memorie storiche anche se non vissute in prima persona.

Il titolo del suo lavoro e la prefazione di Pietro Mascagni, sono di per sé esplicativi: La Banda dalle origini fino ai nostri giorni, notizie storiche con documenti inediti e un’appendice musicale. (Milano,1935).

“Il Vessella posa la Sua base sopra una tesi: La Banda, forma di arte spontanea e popolare, nasce come musica guerresca con i primi eserciti che mossero alla guerra, fin dalle antiche Civiltà orientali; e si afferma, dopo, come mezzo culturale del popolo, nelle piazze, dal primissimo apparire di quei suonatori girovaghi che nel Medio Evo costituisconola classe organizzata dei “Trovatori” o Trombettieri, ammessi poi nelle Corti e nei Comuni italiani come “Musici stipendiati”. tradizione della musica guerresca.” “…Alessandro Vessella educatore delle folle: voce postuma della Sua indimenticabile attività, eco inestinguibile di quelle Sue esecuzioni che di tutti i capolavori musicali diedero superbe interpretazioni, attraverso le magnifiche partiture delle sue Trascrizioni”

Segue la concessione di un premio da parte della Reale Accademia d’Italia e la firma: Pietro Mascagni.Alessandro Vessella era stato anche famoso per aver contribuito a fondare la Stagione dei “Concerti all’Augusteo” (1900) divenuto ben presto centro di cultura musicale, ospitando i più grandi direttori d’orchestra, i Compositori più famosi, i quali attiravano un pubblico sempre più attento e appassionato presente agli appuntamenti settimanali con la musica.

Ma, si è detto di cominciare il “viaggio” accompagnati, anzi preceduti, da piffari e trombetti e quindi si inizia da Roma, ossia dai Musici di Campidoglio detti “Il concerto di tromboni e cornetti  del Senato e inclito popolo romano” (1524-1818). La documentazione si trova in “Archivio della R. Società Romana di Storia Patria” e si trova in uno studio dell’ Accademico musicista e ricercatore Alberto Cametti (1871-1935) con un dettagliato elenco dei Musici di Campidoglio.

Il Comune di Roma, si avvaleva di una compagnia di suonatori sin dal XIV secolo. In un Codice Vaticano, riportato dallo stesso Cametti e in: Discorso di Guglielmo Manzi sopra Gli Spettacoli, le feste ed il lusso degl’Italiani nel sec. XIV, Roma 1818,  si descrive la magnificenza di un corteo degli ufficiali del Popolo Romano che accompagnava la rappresentanza comunale mentre si recava in  “pompa magna” ad incontrare i legati pontifici. E, alla fine della lunga e dettagliata descrizione, si legge: “Teneva di più il Popolo Romano due cori di musici, uno di voci e l’altro di stromenti. Erano tutti sedici e li tenevano stipendiati e questo era il loro vestire. Portavano un berrettino all’antica di scarlatto e calze simili e portavano un giubbone di raso rosso con una veste scollata senza maniche, lunga fino al ginocchio, liscia, discinta, e non andavano se non a certe sorti di funzioni che erano obbligati”.

Il Cametti sottolinea l’ultima frase perché: “…ci dà propriamente il vero carattere dell’istituzione di questi suonatori, mantenutosi attraverso i secoli; essi, a differenza dei trombetti municipali, i quali aprivano i cortei, non facevano mai parte di questi, ma stavano nella residenza capitolina ed avevano altre incombenze che non di parata, come s’indicherà a suo luogo.” Aggiunge poi: “Quando Francesco Petrarca fu solennemente coronato in Campidoglio (1341), fu accolto al suono di trombe e di “piffari”. Il piffero,  si trova citato anche in altre  cronache che descrivono festeggiamenti pubblici, come in occasione di quelli allestiti per le nozze di Francesco de’ Medici con Bianca Capello il 12 ottobre 1579: “…un grandissimo romore di tamburi, pifferi ed altri mille barbari stromenti…” non si comprende bene quali siano i “barbari stromenti”, ma riportando  inserire nella famiglia del flauto di legno, a 6, 8 fori, che pare risalga al tempo delle crociate. Ancora oggi, anche se ormai raramente appare nelle nostre città, viene usato dai pastori abruzzesi in occasione del Natale, con delle modifiche rispetto all’antico piffero, ma sempre ligneo, con canneggio conico, terminante in un padiglione svasato. Conosciuto nella musica popolare con il nome di ciaramella, di solito in coppia con la zampogna.

“Il primo suonatore di cui nei decreti capitolini sia restata notizia” continua il Cametti, “tal Giovanni Battista, d’ignoto cognome. Egli, alla fine del 1524, veniva posto a riposo dopo aver servito per lungo tempo il Senato ed ebbe in compenso una specie di pensione con la nomina di fedele perpetuo del primo Conservatore.”

Questi suonatori sono chiamati comunemente “piffari” fino verso il 1570.

In seguito,  all’incirca nel 1578, furono denominati Musici dei Conservatori e ciò fino al 1600. Verso la fine del ‘600 già il titolo cambia con “Musici del Concerto del Campidoglio”, ma non è ancora definitivo, infatti nei primi anni del ‘700 si trova la denominazione “Concerto de’ tromboni e cornetti del Senato et inclito Popolo Romano”. E con questa denominazione,  già citata all’inizio di questo breve escursus sui “piffari” del Campidoglio, termina il primo, fugace  incontro, della  serie dedicata  alla protagonista: la “Banda”.

 

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