Chiunque abbia la ventura di trascorrere quindici minuti su un mezzo pubblico popolato di teenager può verificare che, quando sono soli – ma non necessariamente – essi distolgono raramente lo sguardo dai loro smartphones, una propaggine corporea indispensabile come la coda per un cane o la proboscide per un elefante.

Cosa scrivano, leggano, ascoltino, rimirino in quei crackers luminescenti rimane un mistero per chiunque non appartenga alla Generazione Z (altrimenti nota come iGen o Post-Millennials) che secondo datazioni ancora controverse comprende i nati tra il 2000 e il 2010.

È tuttavia certo, riecheggiando i toni apocalittici del millenarismo d’antan, che pochissimi sforzi sono stati compiuti per capire cosa gli interessi davvero, poiché l’uso compulsivo dei personal devices non sta creando solo schiere di zombies sociali con polpastrelli da pistoleri, cape vuote e sguardi persi in imperscrutabili microschermi, accuse che potrebbero essere ragionevolmente estese ai loro progenitori.

Infatti, a dispetto delle allarmate critiche dei matusa, gli under 15 – nel caso di specie europei – hanno gusti e interessi degni di nota, che sono stati investigati senza pregiudizi in una ricerca commissionata da ABI in occasione della quarta edizione del Festival della Cultura Creativa, tenutasi dal 3 al 9 aprile 2017 e intitolata “Il buon viaggio – muoversi e crescere tra i sentieri dell’arte, della scienza e della creatività”.

La rivoluzione digitale in atto non ha infatti sostituito le forme di fruizione culturale più tradizionali, ma le ha affiancate e arricchite, sollevando questioni di non poco momento, dal momento che la generazione nata “con internet in casa e un cellulare in tasca” ha a disposizione una gamma di contenuti culturali, sovente gratuiti, e di modalità di fruizione senza precedenti nella storia dell’umanità.

Se la tradizionale offerta culturale dedicata agli under15 si caratterizza per una fruizione individuale, privata e mediata (la lettura di un libro, l’ascolto di un brano musicale, la visione di una serie televisiva, etc.), quella più innovativa offre invece modalità collettive, esperienziali e live, in cui le tecnologie sono al servizio della narrazione e l’interazione manuale non si limita alla pigiatura di un tasto o allo scorrimento di una superficie touch.

Le tecnologie possono essere straordinariamente aggreganti, se correttamente progettate e integrate con attività “tradizionali” (disegnare, costruire, realizzare, recitare, etc.), la cui scoperta può risultare rivoluzionaria per bambini cresciuti a latte, Playstation e Netflix, spesso da soli e davanti a uno schermo: in Europa i ragazzi tra i 9 e i 16 anni trascorrono ogni giorno online una ora e mezza e più di due ore davanti al televisore, seppur con modalità di fruizione diverse rispetto al passato.

Il tema di fondo, semmai, risiede nella difficoltà di orientarsi in palinsesti tanto ricchi quanto vari (altro che le striminzite programmazioni della vecchia “TV dei ragazzi”). Continua infatti a crescere l’offerta di contenuti age specific: in Europa esistono novantotto canali televisivi tematici dedicati ai bambini, laddove l’European Children’s Film Association (ECFA) ha stimato che nel 2016 sono stati prodotti 131 titoli per ragazzi. Né meno attiva è la game industry, che non palesa segnali di crisi: nel 2014 erano stati censiti 43.806 videogiochi e nel 2015 ne sono stati pubblicati altri 620, con prezzi unitari decisamente significativi.

In questo contesto anche l’editoria libraria, nonostante la crisi generalizzata, denota movimenti importanti: a livello internazionale Amazon rivela che nel 2015 erano acquistabili 121.150 libri per bambini di età compresa tra i 2 e i 12 anni: 13.610 titoli per “lettori” sino ai 3 anni, 24.922 per quelli tra i 3 e i 6, 31.223 per quelli tra i 6 e i 9 e 51.395 titoli per la fascia 9-12.

Persino in Italia, paese di notori zucconi inimici della lettura, l’editoria teen continua a crescere, con un aumento del 5,7% nei volumi di vendita 2014 rispetto all’anno precedente e il raddoppio dei testi disponibili in formato elettronico: oggi nel Belpaese l’editoria per ragazzi vale 200 milioni di euro, conta oltre 200 editori e annovera più di 5.000 titoli.

La questione centrale, in tal senso, riguarda l’offerta che le istituzioni culturali tradizionali stanno apparecchiando per soddisfare palati così esigenti: posto che l’inseguimento sul piano sdrucciolo dell’entertainment puro non può funzionare (costa troppo e bisogna saperlo fare bene), sono stati definiti formati innovativi, con l’obiettivo di dare nuovo senso alle missioni di istituzioni culturali minacciate da cotante novità.

Nel momento in cui la digitalizzazione e l’iperconnessione rendono ubiquamente disponibili, spesso gratuitamente, milioni di titoli letterari, musicali, cinematografici e televisivi e miliardi di immagini fisse e in movimento, è necessario ripensare in profondità i palinsesti e le funzioni delle istituzioni tradizionali.

Codeste, per quanto possa apparire paradossale, dall’overload digitale possono trarre innegabili benefici, tanto è divenuta rara la dimensione di una pratica collettiva, sincrona, fisica e collaborativa, in cui le tecnologie svolgono una funzione abilitante, ma in cui è la qualità dei contenuti e delle esperienze a risultare determinante, senza distinzioni di sorta tra l’analogico e il digitale.

Molti nuovi format sono stati concepiti per accrescere le capacità ideative e creative dei pubblici più giovani: non più visitatori o spettatori, ma autori, creatori, produttori di contenuti ed esperienze, perché non basta potenziare la facoltà di capire e interpretare, ma bisogna stimolare l’abilità di progettare, creare, fare e narrare.

Se pensiamo al caso dei musei, accanto alla miriade di dipartimenti educativi istituiti con successo negli ultimi quindici anni non è stata casuale la proliferazione di science centers e children’s museums, laddove si contano circa 100 membri di Hands On! Europe Association of Children’s Museums e l’elenco ufficiale dei FAB LABS annovera la presenza di 323 fabrication laboratories. Parimenti impressionante è il numero dei cosiddetti Youth festivals (200) e delle mostre itineranti (circa 620) dedicate ai temi della creatività e del talento progettuale presenti nei cataloghi dei musei e delle case di produzione che li distribuiscono su scala planetaria.

La ragione di questo cambiamento risiede nel bisogno di ripensare radicalmente i contenuti culturali e i relativi strumenti di disseminazione attraverso formati inediti, come il Festival della Cultura Creativa promosso da ABI e dalle banche, che coinvolgendo più di 20mila bambini e ragazzi in 50 città diverse, spesso lontane dai grandi centri metropolitani, riesce a testare le formule più innovative, tenendo conto del fatto che i ragazzi, come emerge dalla ricerca, apprezzano la possibilità di conoscere cose nuove e di confrontarsi con gli altri, mentre gli adulti – educatori, docenti e genitori-, gradiscono che i giovani si rapportino con una dimensione emotiva che non sempre viene considerata nei momenti di riflessione e di crescita che vengono loro proposti. Né è meno importante è il senso di orgoglio civico e appartenenza nei confronti di quanto la comunità sa proporre a livello nazionale ed internazionale, che emerge dal dialogo con organizza e con chi vive eventi e manifestazioni che ogni anno si rinnovano, poiché mai come oggi, anche in campo culturale, è necessario trovare nuovi strumenti di formazione e dialogo con quello che, tra pochissimi anni, sarà il pubblico adulto e consapevole del futuro.

Guido Guerzoni
Il Sole 24 Ore
16 luglio 2017

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