Torino oggi,
senza identità e senza identità non c’è futuro.

Finito il Regno Sardo Piemontese ed il suo ruolo di Capitale,
finita la frontiera: c’è (?) l’Europa e mancano gli euro,
finita la metalmeccanica, l’ultimo baluardo, il Salone dell’auto è migrato a Milano.

Così fu per la Rai, il salone della moda …
Milano… “the place To live”, nel Suo massimo splendore, nella sua crescita senza fine.

Quanto rancore dalla depressa Torino.
Che resta del suo “always on the move”? cultura? avanguardia tecnologica? artistica?
Quale piano per il suo futuro? Senza rischiare, senza guardare alto, senza tornare all’avanguardia non c’è futuro.

Ripartire. Perché no anche dal cibo.
Non brutta copia di quello offerto dalla invidiata Cugina milanese: diverso il pubblico della Mitteleuropa e dell’Oriente, diversi i portafogli.
Ma neanche il food di bassissimo livello che apre e chiude ogni giorno nei locali che furono di negozi e botteghe falliti prima di loro. Per far morire torinesi senza lavoro non magri per la fame ma grassi per il cibo spazzatura.
Dal niente al troppo, dal locale alla globale pseudo internazionale (supermarket dei cibi dello sfruttamento del mondo), dalla tradizione alla modernità.
Pensavamo di poter mangiare come i ricchi, far di ogni giorno domenica nel paese dei balocchi.

La felicità facile …
Abbiamo assistito alla crescita esponenziale di tumori diabete dislipidemie sindrome metaboliche… già nella prima infanzia.

Forse è tempo di fermarci. Forse la ruota della circolarità sta girando.

La nostra potrebbe essere piccola utopia realizzabile, rivoluzione possibile di mangiare come appartenenza, convivialità, perché no responsabilità. Senso, momento collettivo e comunitario.

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