Gli attentati di Parigi sono un attacco alla pace di tutta l’umanità.

La cosa che rende più angosciante un dramma già fin troppo doloroso è l’assenza di un nemico come la storia ci ha insegnato ad individuare nei secoli. Questo nemico non appartiene ad una nazione, ad una razza o ad una particolare etnia e non viene neanche da lontano, perché è stato sempre tra noi. Anzi, si è formato tra noi, nelle nostre città e nelle nostre scuole. Gli esecutori dell’attacco del 13 novembre a Parigi, possiamo definirli come i “giovani della porta accanto”. Esseri che colpiscono nel mondo reale, con la coscienza in un modo virtuale come in uno di quei videogame di guerra, presenti nei computer di gran parte degli adolescenti di oggi.

Ma come si diventa ciechi assassini come quelli delle stragi di Parigi? Facilissimo, perché si tratta di un sistema già utilizzato da certe madrassah, “Scuole coraniche borderline”. Me lo fece capire bene un mio amico e collega arabo mentre un giorno giravamo per in una cittadina islamica quando mi disse: “vedi quel ragazzo sul marciapiedi? Fa parte sicuramente di una madrassah. Con quella divisa addosso – caftano e copricapo bianchi – si sente importante perché prima era solo un ignorante ignorato da tutti, ora invece fa parte di qualcosa più grande di lui. Tra poco tempo, ad uno così, gli puoi chiedere pure di farsi esplodere in aria e lui lo farà in nome di Allah. Un povero emarginato reclutato da gente senza scrupoli, capace di eseguire ordini inimmaginabili”.

Nella storia degli ultimi mesi, accade lo stesso anche in occidente. Ai “reclutatori” dell’ISIS è sufficiente cercare i propri “allievi” in quella parte di generazione alla deriva, che ha dimenticato le proprie radici nell’assoluta indifferenza di una società troppo distratta dalla crescita del P.I.L..

In seguito ad eventi simili si parla di violenza incomprensibile, inaudita e senza logica. È verissimo! Ma prima che questi fenomeni diventino incontrollabili, è necessario capire e conoscere l’origine dell’innesco e non limitarsi ad un orrore che, col tempo, potrebbe prendere l’acre odore dell’ipocrisia.

In realtà non si tratta neppure di una ricerca molto complessa, perché da molti anni, sociologi, teologi, economisti ed antropologi illuminati, hanno più volte evidenziato, nei loro trattati, gli errori commessi dalla cosiddetta “società globalizzata”.

Questo tipo di società assomiglia molto ad un fumatore incallito a cui da tempo è stato diagnosticato un cancro. Costui cercherà mille palliativi e giustificazioni invece di smettere di fumare, perché non ne può più fare a meno. Alla fine, la colpa della sua morte, sarà data alle sigarette o alla sua incapacità di cambiare vita?

Il terrorismo, l’ambiente, la sopravvivenza della nostra specie, dipendono quasi esclusivamente dalle nostre scelte. In un mondo creato esclusivamente per gli iperconsumatori, in cui tutto punta ad un unico comun denominatore, non c’è spazio per chi non ha le possibilità economiche per farne parte e ciò genera vere e proprie fratture sociali. Queste fratture non sono altro che le incubatrici di una nuova violenza, la violenza degli esclusi dal “banchetto reale”.

Abbiamo visto che fino a poco tempo fa, i fanatici integralisti disposti a farsi saltare in aria ed ad immolarsi dopo l’indottrinamento del maestro di turno, venivano reclutati solo tra gli ignoranti delle periferie delle città del terzo mondo, ora non più, perché un nuovo tipo di “terzo mondo” è arrivato da noi. Questo perché il “primo” mondo economico, smantellando la formazione culturale, umanistica e artistica delle nuove generazioni, sta velocemente regredendo verso un nuovo tipo di “non-società”, figlia prediletta dell’Avere. Così, dal “cogito ergo sum” cartesiano, siamo passati al “di più non basta mai” del film “The Wolf of Wall Street”.

Quando ci si trova nel buio si cerca disperatamente un raggio di luce, così, anche dopo un evento drammatico come quello di Parigi, è necessario cercare una via d’uscita che punta ad una visione ottimistica del nostro futuro e l’unica via d’uscita, per il bene di tutti, sta proprio nella capacità di cambiare questa nostra società basata sul troppo, un troppo che crea il poco e il nulla.

Cosa fare

I governi di tutte le nazioni del pianeta, devono impegnarsi affinché i propri giovani riscoprino la bellezza della cultura nella letteratura, nelle arti visive, nella musica e nella poesia, perché come ci ha insegnato Dostoevskij: “La bellezza salverà il mondo”. E dove sta scritta questa frase? Nel libro “L’Idiota” e non è un caso.

Cosa non fare

Non dobbiamo avere paura, perché la paura porta verso pericolose posizioni integraliste e scelte dissennate come quella di chiudere le frontiere a scapito dei rifugiati.

Detto questo non ci resta che fare nostre le parole di Papa Francesco: “Non capisco, ma queste cose sono difficili da capire, fatte da essere umani. Per questo sono commosso, addolorato e prego. Sono tanto vicino al popolo francese tanto amato, sono vicino ai familiari delle vittime e prego per tutti loro”.

pietas

Il filosofo francese Teilhard de Chardin, figura di riferimento degli Ottimisti d’Italia, in una conferenza tenuta nell’Ambasciata di Francia a Pechino il 3 marzo del 1941, ci anticipò i rischi, ma anche la via per una giusta convivenza. Vi invitiamo a leggerne l’estratto che segue questo articolo e farne buon uso.


 

RIFLESSIONI SUL PROGRESSO

di Pierre Teilhard de Chardin

Oggi è diventato “di moda” schernire o sospettare di tutto ciò che assomiglia a una fede nell’avvenire.

Dubbio mortale, se si fa ben attenzione, poiché tende direttamente ad uccidere, assieme al gusto di vivere, la forza viva dell’umanità.

Ben fondati nella storia generale del mondo, quale la paleontologia ce la fa conoscere, per un intervallo di trecento milioni di anni, noi possiamo, senza smarrirci nei sogni, affermare le due seguenti proposizioni:

a) In primo luogo l’Umanità lascia ancora apparire in sé una riserva, un potenziale formidabile di concentrazione, cioè di progresso. Pensiamo all’immensità delle forze, delle idee, delle persone non ancora scoperte o captate o sintetizzate … “Energeticamente” o biologicamente, il gruppo umano è ancora giovanissimo, freschissimo.

b) La Terra è ben lungi dall’aver terminato la propria evoluzione siderale. Possiamo certamente immaginare ogni sorta di catastrofi capaci d’interrompere bruscamente questo splendido sviluppo. Ma da trecento milioni di anni la vita si eleva paradossalmente nell’improbabile. Non è forse questa un’indicazione che essa progredisce sorretta da una qualche complicità delle forze motrici dell’Universo? ….

La vera difficoltà posta dall’Uomo non è di sapere se costui rappresenti la sede di un progresso continuo, ma piuttosto di sapere come questo progresso potrà continuare a lungo alla stessa velocità senza che la vita esploda o faccia esplodere la Terra sulla quale è nata. Il nostro mondo moderno si è fatto in meno di diecimila anni e in duecento anni è cambiato più rapidamente che durante tutti i millenni precedenti.

Il Progresso, se dovrà continuare, non si farà da solo. L’evoluzione, per lo stesso meccanismo delle sue sintesi, si carica sempre più di libertà.

Quali debbono essere, in pratica, le nostre disposizioni rispetto a questa marcia in avanti?

Io ne vedo due che possono essere riassunte in cinque parole: una grande speranza in comune.

a) Una grande speranza, in primo luogo. Essa deve nascere spontaneamente in ogni anima generosa in presenza dell’opera stessa e rappresenta anche lo slancio essenziale senza il quale nulla potrà farsi. Un gusto appassionato di crescere, di essere, ecco ciò di cui abbiamo bisogno. Via dunque i pusillanimi e gli scettici, i pessimisti e i tristi, gli stanchi e gli immobilismi!

b) In comune. Anche su questo punto, la storia della Vita parla in modo deciso. Una sola direzione fa salire; quella che conduce a una maggiore sintesi e a una maggiore unità per mezzo di una maggiore organizzazione. Via, quindi, anche qui, i puri individualisti, gli egoisti che ritengono di potersi sviluppare escludendo o diminuendo i loro fratelli, individualmente, razionalmente o razzialmente.

La Vita porta verso l’unificazione. La nostra speranza sarà operante solo se si esprimerà in una maggiore coesione e in una maggiore solidarietà umana.

L’avvenire della Terra è nelle nostre mani. Che cosa decideremo? Una scienza comune ravvicina soltanto la punta geometrica della intelligenza. Un interesse comune, per quanto appassionato possa essere, non congiunge gli esseri che in modo indiretto e in un Impersonale spersonalizzante.

Noi non abbiamo bisogno di un testa a testa o di un corpo a corpo, ma di un cuore a cuore.

Il principio generatore della nostra edificazione non deve essere ricercato, in ultima analisi, nella sola contemplazione di una medesima verità e neppure nel solo desiderio suscitato da un qualche cosa, ma nell’attrazione comune esercitata da un Qualcuno, identico per tutti.

Estratti di una conferenza tenuta a Pechino, all’Ambasciata di Francia il 3 marzo 1941.

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