Meravigliosa giornata di sole.
Le api tornano all’alveare con bei grani gialli di polline attaccati alle zampette. Penso al polline che raccoglierò, mentre stacco il propoli dal coperchio dell’arnia.
Poi rifletto: Cosa può fare una nuova branca della medicina olistica come l’Apiterapia  per contrastare le infiammazioni?
Ho in mente, in effetti come rovello, l’articolo del professore Grandi : “E se fosse l’immunità a salvarci dai Tumori?” :
“Nell’alimentazione rimane il segreto dell’immunità” Poi ricordo l’articolo del professore Boncinelli, pubblicato su Le Scienze di Giugno di quest’anno:  “ L’infiammazione che conta” .
La lettura è stata, come al solito, interessante: “ Infiammazione e processi metabolici”, “Metainfiammazione o infiammazione metabolica cronica”, “… molte malattie metaboliche, fra cui comunissime sono diabete e obesità”. L’Apiterapia ha di recente ripreso un cammino fatto di ricerche pazientissime sull’applicazione dei prodotti delle api per le patologie umane. Ma non solo. Miele, polline, propoli, cera e veleno sono quelli più studiati.

Si parte dalla ricerca di nuove molecole antibiotiche (le vecchie “defensine”) contenute nel più antico alimento dolcificante dell’umanità, arrivando a vedere in molecole prebiotiche , poco tempo fa ritenute “inutili” come i Fruttosio-oligosaccaridi (FOS), possibili aiuti alla flora intestinale, con Lattobatteri e lieviti che riescono a superare la barriera dell’acidità gastrica.
Uno yogurt in versione “apistica”!
Troviamo nel miele enzimi ossidanti che inducono la formazione di molecole altamente reattive di ossigeno ed acidificanti tali da inibire crescite batteriche anche con basse concentrazioni dell’alimento:  un buon rimedio nelle ulcere della pelle e la riepitelizzazione dei tessuti, con la stimolazione delle cellule staminali basali. Se l’impiego del miele di bosco (melata) è capace di attivare cheratinociti e fibroblasti nel derma, avevano ragione gli antichi a impiegarlo per le ferite! Forse non sarà solo il miele di manuka (Leptospermum scoparium), ben titolato nell’uso in dermatiti atopiche o nell’effetto di inibizione dell’interleuchina 4 ( IL4E), a salire sul podio perché quello di corbezzolo sembra avere simili azioni. Nuove osservazioni scientifiche indicano effetti di induzione dell’apoptosi in cellule tumorali, con la stimolazione di geni regolatori tale azione (caspase 3, p53) . Il romantico mito dell’idromele, forse la bevanda nuziale della antica Luna di miele, svanisce nel laboratorio biochimico.

E il polline? Sento il profumo dei granuli colorati, tessere delicate di un mosaico vivo e pronto a cederci la sua vitalità biochimica: polifenoli e aminoacidi molto concentrati, sali con oligoelementi che solo le amate piante possono estrarre dal terreno, con ricche presenze di potassio, magnesio, ferro, zinco. Se il selenio gioca un ruolo nella prevenzione delle ipertrofie prostatiche benigne, beh, con il polline siamo ben messi; varie sono state le ricerche che conducono a ritenerlo ben utile in queste patologie. Enzimi capaci di ridonare vita a granuli di polline rinsecchiti quando si adagiano sul giusto stigma floreale, materia che da inanimata prende vita. Forse è anche per questi motivi che la latenza può essere osservata come una buona dimostrazione di quanto sia delicatamente operativo il polline. Le prestazioni fisiche e mentali migliorano e ciò sembra da attribuire ad una adeguata presenza di cofattori. Acido folico e, tocoferolo, niacina, tiamina e biotina, uniti a fitosteroli e pigmenti carotenoidi lo rendono un alimento prezioso. Le ricerche di laboratori nell’Europa orientale sulle varie attività biologiche del polline, storicamente precursori nel campo dei rimedi naturali, ci inducono a ripensare alle squilibrate formulazioni d’integratori “sintetici” ; la ricchezza in prolina, poi mi induce a rileggere l’articolo di Grandi, e a pensare quali siano le possibili ricadute sul riequilibrio immunitario. Strizzando un occhio all’apicosmesi, giacché la prolina e l’idrossiprolina sono precursori del collagene. Le applicazioni industriali con il polline non scarseggiano: per esempio far lievitare farine e migliorare l’assorbimento alimentare delle proteine nell’allevamento animale, permettere di conservare, riducendo gli additivi chimici, la conservazione dei salumi. Se della carne rinsecchita riesce a mantenersi appetitosa…

Stacco con la leva il propoli ancorato al legno del coperchio dell’arnia. Penso al va e vieni di api operaie che volano da rami di pini e abeti, salici e querce, per sigillare i varchi, in difesa del loro mondo contro animali, muffe e batteri. Le ricerche più recenti fanno del propoli un elemento potente nella lisi delle pareti batteriche. Forse fu l’osservazione di come lucertole saccheggiatrici di miele, avvelenate da api combattive e poi da loro avvolte in propoli rimanessero conservate nel tempo, ad avviare la tecnica dell’imbalsamazione egiziana. Non era ancora venuto il tempo della risonanza magnetica nucleare a permettere la scoperta di flavonoidi e dell’estere feniletilenico dell’acido caffeico (CAPE) che tendono a sopprimere le azioni infiammatorie, immunomodulanti e antimitogeniche. Non era la stessa sostanza che la gemmoterapia attribuiva alle delicate gemme di alberi “sacri”? Certo che leggere di lavori che mostrano che il trattamento con propoli delle patologie indotte da Helicobacter Pylori riesce a migliorare il quadro clinico, permette di ampliare le conoscenze di un prodotto apistico che fino a poco tempo fa si chiedeva all’erborista solo per il raffreddore.

Nel mondo giallo cera delle api c’è la riscoperta di questo materiale e della sua plasticità e leggerezza: così com’è prodotto dalle api permette la traspirazione e la batteriostaticità. La formazione di celle esagonali traspiranti e fonoconduttive permette la vita dell’alveare, la comunicazione tra centinaia d’api e il “condizionamento” stagionale dell’arnia. La sottigliezza delle pareti, determinata anche dalle molecole lineari lipidiche e altre polari, permette l’impiego come ottimo “solvente” di lipidi e materiali idrosolubili. In essa erano intrappolate quelle molecole “eteriche” del miele che conferivano l’aroma sacro delle candele votive, ormai condannate alla scomparsa dai led. I saponi di una volta, dove era la cera ad aiutare la salute della pelle insieme a prodotti meno aggressivi degli attuali, prevedevano cera, olio e soda. E un tempo di maturazione adeguato. Scoprire che l’uomo del neolitico usava la cera per otturare la cavità di un dente è stata l’affermazione che anche quell’uomo primitivo era sensibile alla ricerca del benessere.

Certo che devo fare attenzione a dove metto le mani, qui in quest’alveare. La puntura è il dazio del mio egoismo consumistico. La difesa delle api a costo della vita Il veleno che il pungiglione inocula, vero stiletto autonomo anche quando si stacca dal corpo dell’ape, è una miscela di quasi quaranta sostanze diverse, da complesse proteine (come la melittina che provoca la liberazione d’istamina) a enzimi con varie azioni (fosfolipasi A2 ipopressoria), da fosfolipidi a semplici zuccheri (come glucosio e fruttosio). Ma il retro della medaglia è il futuro della apiterapia: la stessa melittina è un potente agente antinfiammatorio, la adolapina ha azione analgesica, il cardiopep svolge un ruolo contemporaneamente cardiostimolante e anti-aritmico. L’adagio degli anziani apicoltori: togli il pungiglione, non ti grattare e dimenticalo sembra sia il frutto di una saggezza pragmatica. Togliere il pungiglione evita che il suo sistema autonomo muscolare lo faccia penetrare nella pelle; il tentativo, spesso difficile, di non toccarsi e grattare il punto di inoculo riduce il rischio della fragilità capillare ed emolisi. Dimenticare sembra ancora più difficile: ma tutto ciò potrebbe ripagare con il “contrasto” ai processi infiammatori e autoimmuni, comprese l’artrite, le patologie reumatiche e neurodegenerative. Forse il futuro impiego dell’apiterapia non è lontano.

 

Dr Aristide Colonna
Medico chirurgo
Presidente Associazione Italiana Apiterapia

 

Dr Pietro Paolo Micella
Biologo naturopata

 

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