Essere fisicamente vivi non vuol dire che lo si è in automatico anche spiritualmente. Per “esistere” veramente bisogna riuscire a vedere la parte più bella del creato: quella invisibile; quella che si nasconde agli occhi, ma si svela all’anima. Solo così si raggiunge la vera completezza.

Dobbiamo imparare a distinguere la felicità vera che ci accarezza l’anima, dal piacere illusorio del mondo delle “cose”. Siamo in un’era in cui persino l’amore viene comprato. Questo accade perché viviamo ciecamente solo nel presente, con lo sguardo rivolto al futuro.

Normalmente si crede che il presente si sia lasciato alle spalle il passato e punta solo verso il futuro, ma non è così, perché il passato è tutto, poiché il presente e il futuro durano un attimo. Quello che facciamo oggi e quello cha faremo domani, presto farà parte del nostro passato. Ma cosa sopravvive veramente in questo passato? Le nostre opere complete, quelle costruite dal corpo per lo spirito. Il resto cade presto nell’oblio.

In matematica si afferma che una formula nata da un’intuizione non ha senso finché non viene dimostrata. Allora se il concetto appena espresso è la formula, possiamo senza dubbio affermare che il fatto accaduto questa mattina ne è la dimostrazione certa. Ma veniamo al racconto.

Strumenti di fine ‘800 di un medico missionario per individuare la malattia di una donna musulmana, che segnava con il colore la parte dolorante sulla statuina.

Sono un artista e questa mattina mi sono recato a Dragona, una frazione di Roma adiacente alla via Ostiense, in un negozio di belle artiche si chiama “Agostinelli Arte”. Dovevo acquistare dei pigmenti puri, tanto per capirci, parlo di quelle polveri colorate che si ricavano da elementi che esistono in natura: minerali e organici. I pigmenti naturali sono quei colori che hanno la stessa età dell’arte, perché sono gli stessi che ha usato l’uomo preistorico quando è diventato artista e cioè, quando ha sentito il desiderio di aggiungere bellezza intorno a se, come le pitture parietali della Grotta di Altamira di Cantabria in Spagna o quelle di Lascaux in Francia. Fino ad allora l’uomo costruiva oggetti e strumenti utili alla sopravvivenza, ma improvvisamente ha sentito la necessità di creare la bellezza. Di fatto, dopo aver pensato alle esigenze del corpo, aveva scoperto quelle dell’anima.

Ma torniamo nel negozio di Dragona. È magnifico quando, in pochi metri quadrati, scopri due mondi paralleli: il presente, in veloce metamorfosi e il passato, radicato nel presente. Un passato che alcuni giudicano morto, ma che in realtà è più vivo che mai. Forse quegli “alcuni”, dovrebbero indagare a fondo sulla loro reale esistenza.

Dopo essermi aggirato tra gli scaffali pieni di barattoli di colore e pennelli di ogni tipo, non trovando quello che cercavo, chiedo alla commessa dove erano esposti i pigmenti naturali di cui avevo bisogno per le mie opere artistiche e lei, senza pensarci un attimo, mi dice che ne erano sprovvisti ed era difficile reperirli. Deluso esco dal negozio per raccogliere le idee e dopo tre metri, mi trovo difronte all’ingresso di un locale che sembrava un magazzino ma che in realtà era un piccolo museo che già conoscevo, il Museo Agostinelli; un luogo magico stracolmo di oggetti di ogni tipo, per terra ai lati e persino appesi al soffitto. Il nome, Agostinelli, era lo stesso di quel negozio, perché una volta il proprietario del museo possedeva anche quegli spazi.

Domenico Agostinelli il creatore del Museo Agostinelli

Entro e mi incontro con il titolare, Domenico Agostinelli, un simpatico signore ultra ottantenne e insieme a lui inizio un magnifico viaggio nella storia. Si perché in quel luogo convivono migliaia di oggetti raccolti dal signor Domenico in 60 anni della sua vita: dall’uovo del Tyrannosaurus rex al primo telefono, dalla culla della figlia di Totò alla trave di legno originale che chiudeva la porta di Castel Sant’Angelo. Un passo, mille cose: statue classiche, cappelli, elmetti, ombrelli, bastoni, telescopi, clessidre, strumenti musicali, lampadari, statuette votive, lance, maschere, giocattoli e ancora altri oggetti intrisi di storia come l’auto di Al Capone e il proiettore prestato a Giuseppe Tornatore per il film Premio Oscar 1990 “Cinema Paradiso”.

Ad un certo punto ci fermiamo a chiacchierare della sua grande passione e tra le tante cose mi racconta un fatto che mi colpisce particolarmente perché legato alla delusione da poco vissuta. Mi svela di quando a Napoli raccoglieva i lapilli eruttati dal Vesuvio. Ma cosa ci faceva con quei lapilli? Li macinava e li portava ad un suo cliente, un certo De Chirico, che poi li usava per i suoi quadri. Giorgio De Chirico, principale esponente della corrente artistica della Metafisica, utilizzava la polvere colorata preparata da Domenico che, come compenso, riceveva in dono alcuni disegni del maestro.

Quei lapilli non erano altro che pigmenti naturali, simili a quelli che avrei voluto acquistare nel negozio difronte.

In conclusione, nel triste mondo dell’avere, i colori sintetici producono colori, “forse”, uguali a quelli naturali e servono a realizzare, “forse”, delle opere d’arte. Nel mondo dell’Essere, i colori naturali materializzano la poesia, parlano all’anima attraverso il cuore e generano certamente i veri capolavori. Non a caso le icone sacre sono fatte da sempre con quei pigmenti. Perché quelli sono i colori della nostra storia, perché anche noi siamo colore e per sopravvivere in “completezza” dobbiamo difendere tutte le sfumature della nostra esistenza. Come? Facendo le scelte giuste e difendendo le cose e le persone più preziose, come il signor Domenico e il suo piccolo/grande museo.

Perché la nostra Terra si sta ribellando, con le sempre più evidenti variazioni climatiche. Le chiamiamo catastrofi naturali, ma in realtà nascono dal nostro vivere sempre più contro natura. Ma questa è un’altra storia. O no?

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