di Maria Cristina Pezzoli Poli

“Quando ti vedo mi prostro, davanti a Te ed alle tue parole

vedendo la casa astrale della Vergine.

Infatti verso il cielo è rivolto ogni tuo atto, 

Ipathia sacra.

Bellezza della parola

Astro incontaminato

Della sapiente cultura.”

Pallade in un epigramma tesse così uno degli elogi più belli di Ipathia.

Ipathia d’Alessandria, simbolo ancora oggi della libertà di pensiero.

Nella vita come nella morte ad opera del fanatismo religioso. E non solo.

Simbolo dell’indipendenza della donna.

Nata tra il 355/370 a. C. ad Alessandria d’Egitto.

Un uomo, il padre, la introdusse agli studi nella biblioteca della città ma una donna, lei stessa, riuscì ad essere altissima nella sua originalità, aspetto che come sempre è conditio sine qua non per la grandezza.

Seppe rimanere fedele a se stessa, al suo ideale, di vita, di studio e di ideologia, senza tentennamenti, senza vacillare nelle proprie convinzioni o convertirsi a nessun dogma.

Simbolo del martirio fanatico religioso di un cristianesimo che, non solo voleva un potere di totale sottomissione alle sue verità incontrovertibili, ma una sottomissione del femminile e della sua libertà.

Ipathia fu libera, in se stessa e nel proprio pensiero, capace di rivestire ruoli importanti nella società (e come avrebbe potuto tollerarlo la religione cristiana in espansione, quella stessa che poi avrebbe attuato le Crociate?) e al contempo aprire le menti di chi la ascoltava, persino per le strade.

Osò formulare ipotesi anche sul funzionamento di quel cosmo che forse amava più di tutto.

E allora ecco perché smembrarla pezzo per pezzo e disperdere così il suo esistere…

Ma dalla ceneri, l’Araba Fenice, si sa, risorge.

Lo Spirito si libra e abbandona le membra martoriate. E va lassù, verso il cielo.

Dove sempre bisogna andare.

Così Ipathia, la matematica, la filosofa, la grande astronoma, quella appunto che va verso il cielo, martire dell’ortodossia cristiana ad ogni costo, paga con la vita, anche in quanto donna, la sua passione.

Ma con la sua vita allo stesso tempo insegna e con un insegnamento eterno ed universale.

Dalla semplice erudizione seppe giungere alla sapienza filosofica.

Rendeva accessibile a tutti il moto degli astri, accogliendo tutti e aprendo loro la sua scienza.

Tutti da Lei potevano imparare ad orientarsi e ad orientare se stessi sulla Terra e dalla Terra al Cielo come dal Cielo alla Terra.

Senza neppure la mediazione del potere ecclesiastico.

Ecco forse il suo più terribile reato: essere stata spontaneamente guida spirituale di chiunque si avvicinasse a lei, persino dal suo letto di malattia.

Terza caposcuola del Platonismo per la magnifica libertà di parola e di azione, rispettata con timore reverenziale, suscitò un’invidia che si armò contro di lei.

Lei, nella quale forse si era realizzata la mitica “politica”: i filosofi che decidono le sorti della città.

Da un insegnamento esoterico ad un insegnamento pubblico, per tutti coloro che lo desideravano. 

Le sue uscite pubbliche testimoniavano generosità e liberalità nel dispensare ogni cosa di sé e del suo sapere a chiunque lo volesse.

Ecco che fu allora molto amata e venerata dal popolo.

L’instabilità del clima sociale di Alessandria d’Egitto portò al suo epilogo.

Se nella fase di passaggio dal paganesimo al cristianesimo i compiti del filosofo e del vescovo vengono a sovrapporsi cosa fa il vescovo se non eliminare il filosofo?

E perché, per di più, non eliminare il fascino di Ipazia, quale “ipnotizzatrice magica e satanica scienziata degli astri?”

Ma nessuno può cancellare la grandiosità che sempre vive e che ogni volta risorge più potente.

Ognuno di noi nel suo percorso può tendere al cielo con il massimo sforzo di fedeltà a ciò che è e a ciò che ha. E infine a ciò che può dare.

Facciamo come lei e dispensiamo ciò che di meglio sappiamo e ciò che di meglio sappiamo fare. Rimaniamo noi stesse e, se diamo qualcosa, diamolo con la stessa integrità di un arco che scocca la freccia verso il bersaglio che ritiene giusto.

Il bersaglio potrebbe sembrare problematico o generare perplessità, ma sarà sempre giusto se è sentito come proprio e come quello che incarna una traiettoria verso la bellezza e la luce.

Come Ipathia, sarete amate, saremo amate, nonostante tutto, perché avremo portato la nostra luce. Piccola. Grande. Lumicino, fiammella, fiaccola. Non importa. Ogni lumicino accanto all’altro crea un grande fuoco. Grazie Ipathia.

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