Quando il mondo ignora fame, guerra, misera, ha un problema serio.
È crisi profonda di civiltà e di umanesimo.
Incapace di risposte al fenomeno delle migrazioni di massa, al ritorno sistematico della violenza religiosa, all’ascesa del denaro al potere, sovrano nel mondo.

Rispetto a 50 anni fa, gli impoveriti sono più numerosi, consapevoli delle cause che sottendono alle ingiustizie di cui sono vittime.

“Fame, Indifferenza, Guerra”, situazioni/luoghi privilegiati del disumano, determinati dall’egoismo, dall’assenza di etica, dall’ingiustizia.
Otto super miliardari possiedono la stessa ricchezza della metà della popolazione del pianeta, 3.6 miliardi di persone.
“Fame”: 815 milioni di persone soffrono di fame (38 milioni in più rispetto al 2016).
Fame di libertà, di cultura, di lavoro, di acqua, di terre coltivabili.
In Madagascar, Tanzania, Etiopia, Mali, Senegal, Uganda è in atto l’accaparramento sistematico da parte di società transnazionali, Emirati, Cina, Corea del Sud, Giappone, India, Arabia Saudita.

“Indifferenza”: individuale e personale pubblica. Calano le richieste di adozioni internazionali; calano i fondi pubblici per la cooperazione internazionale con i Paesi in via di sviluppo.

“Guerra”: 489 milioni le persone che oggi sopravvivono in 34 paesi con conflitti.

Nel 2017 la spesa militare mondiale ha toccato 1.739 miliardi di dollari, i 5 leader sono: USA, Cina, Arabia Saudita, Russia e India (SIPRI, Istituto Internazionale di Stoccolma per la Ricerca sulla Pace).

Essere solidali con gli impoveriti dell’emisfero sud, significa conoscere le realtà del loro faticoso sopravvivere e le cause storiche e strutturali di ieri e di oggi.

Chiedersi come incidono:
– la globalizzazione e la de-regulation della finanza e dei mercati,
– le privatizzazioni di sanità, scuola, porti, ferrovie, acqua, autostrade, terre, guerre, contractor, mercenari: non la “romantica” Legione straniera, ma i bambini soldato,
– i mutamenti climatici (desertificazioni, assenze di piogge) e gli oneri del debito pubblico.

In Burkina Faso è caccia ai cattolici: i jihadisti hanno diviso gli abitanti del villaggio in base alla fede, poi l’esecuzione. Arrivano al tramonto, quando i contadini rientrano dai campi e scambiano quattro chiacchiere con i vicini, seduti sulla soglia della casupola. Uomini, armati di machete e fucili decisi a dare “punizione” esemplare. “Perquisizione”, a caccia di simboli religiosi, e la selezione, trucidati.

L’Africa sta subendo profonde alterazioni nelle dinamiche interne agli Stati. Dalla fine della “Guerra fredda”, tra Usa e Urss, alla fine degli anni Ottanta, è avvenuta una progressiva parcellizzazione del continente a macchie di leopardo. Oltre alle ex potenze coloniali e agli Stati Uniti d’America, sono scesi in campo la Cina, l’India, la Russia, il Giappone, la Corea del Sud, la Malaysia, il Brasile, il Canada. Investimenti notevoli che provano acuito lo sfruttamento invasivo dei territori, la corruzione delle leadership locali, generando situazioni di conflittualità.

Il land grabbing (accaparramento delle terre) da parte di società private, fondi di investimento incrementa la svendita delle risorse naturali del continente, agricolo, minerario, energetico. Attività predatorie che determinano un indebolimento della sicurezza “garantita’ da parte dei governi centrali mettendo a repentaglio la sovranità. La Repubblica Centrafricana, nonostante l’insediamento di un governo di unità nazionale, a seguito degli accordi di pace del febbraio scorso, continua a essere ostaggio di formazioni ribelli, molte di matrice islamista, che controllano zone ricche di minerali preziosi, fonti energetiche e legname. Nel settore orientale della Repubblica democratica del Congo, nel Nord Kivu, ricco di minerali d’ogni genere, imperversano diverse formazioni armate che compiono costantemente atrocità nei confronti della stremata popolazione civile. Il dissolvimento della Libia, con la caduta di Gheddafi, ha sancito l’autonomia dei gruppi etnici, determinando un moltiplicarsi di milizie il cui orientamento politico nei confronti dei due principali contendenti, Haftar e al-Sarraj, è “volatile”.
In Sud Sudan, sebbene il presidente Salva Kiir e il suo principale contendente Riek Machar si siano impegnati, lo scorso marzo, a collaborare di fronte a papa Francesco, è ostaggio di milizie, ree di crimini infamanti. Il Sudan, dopo la recente destituzione di Omar el-Bashir, patisce una frammentazione interna tra le varie formazioni politiche.

Rimangono irrisolte le crisi in atto da anni nel Darfur e sulle Montagne Nuba con evidenti le spinte autonomiste. La Somalia continua ad essere insicura, infestata da milizie estremiste, sotto potentati locali legati ai clan familiari. Somaliland dichiarò l’indipendenza, non internazionalmente riconosciuta, a seguito della caduta del regime di Siad Barre nel 1991.
Nella Nigeria il movimento estremista islamico Boko Haram ha causato sofferenze indicibili alla popolazione civile, aspirando quantomeno alla secessione dei territori settentrionali. Le infiltrazioni jihadiste contaminati la fascia saheliana, dal Mali al Burkina Faso, generano instabilità politica e mobilità umana, è l’esatto contrario di quanto avevano sognato Leopold Sedar Sénghor e Kwame N’Krumah, padri del Panafricanesimo negli anni 50 del Novecento. Le cancellerie europee, divise tra loro nel giudizio, a volte contrapposte da miopi calcoli sono inermi nell’azione diplomatica.

I nodi politici con cui ci dovremo misurare nei prossimi anni sono enormi.
L’impatto dei cambiamenti climatici sulle società più vulnerabili del pianeta; la difficoltà a risolvere i conflitti in un mondo multipolare, dopo l’equilibrio della Guerra Fredda e il dominio americano degli anni ’90, rende difficile unanimità politica, sulle questioni umanitarie.

Che Don’t forget Africa non diventi Forgot Africa.

 

 

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