A La Limonaia si cavalca sul sottile confine tra realtà e sogno.
L’onirico diventa gusto, la percezione si affina e la mente sobbalza.
Il ristorante di Cesare Grandi è una fucina alchemica, laboratorio artistico dove l’ironia sfida l’intelligenza.
Partiamo dalla fine:
lo zucchero.
La tavola è ripulita.
I sapori hanno acceso recettori e sensi assopiti.
Una briciola di pane sul bavaro della camicia, quella che ormai indossano solo i signori distinti, di solito anziani, che vengono a cena con la signora in occasioni speciali per vezzeggiarla e sperimentare nuovamente i gesti di una galanteria antica.
Rarità.
Il tempo si dilata.
La luce calda a risvegliare gli sguardi, che incuriositi cercano verità: di nuovo l’uno davanti all’altra, come i primi Tempi.
Sei ancora tu? Come fai ad essere sempre così nuova, sempre così diversa e sempre uguale a te stessa. Profumo.
Profumo di caffè.
“Gradisce dello zucchero?
Glielo porto subito”
Una tazzina color tiffany e una bustina bianca.
Chiusa.
Vuota.
Con una scritta a caratteri goliardici:
“Ceci n’est pas de sucre”.
Ispirazione a quella pipa simbolo dell’illusionismo onirico di Magritte, “Tradimento delle immagini”, che mette a confronto la consistenza della realtà con l’intangibilità dei segni.
Complessità del linguaggio.
Ricerca del senso.
Paradosso di un senso.
Il gusto.
“Non si tratta di fatto di una pipa, bensì della sua immagine.
Chi potrebbe fumare la pipa del mio quadro? Nessuno. Quindi non è una pipa”.
“Chi potrebbe assaggiare lo zucchero nella mia bustina? Nessuno”.
Magritte nasceva un giorno prima dello Chef di esattamente novanta anni prima.
Le stelle la sanno più lunga degli Uomini, e giocano a intrecciare destini.
Nessuno si sofferma sullo zucchero: rituale automatico, gestualità privata del suo senso.
Ma quando lo zucchero resta immagine, la mente sobbalza.
Scegliere di gustare.
Il caffè è Arte.
La scelta tra i sapori nasce dalla pianta, dal terreno, dal chicco.
Arabica: Brasile, 800-1200 mt. Chicco ovale, taglio curvo. Caffeina: 0.8-1.5%.
Robusta: Vietnam, 0-900 mt. Chicco sferico, taglio dritto. Caffeina: 1.7 – 3.5%.
Perchè perdersi il privilegio di esplorare un mondo?
E lo zucchero è un altro viaggio:
un tempo a La Limonaia venivano serviti zuccheri diversi
per guidare in esperienze, che pochi sceglievano di fare.
Canna, dattero, palma da cocco, betulla, acero…
Abbiamo tolto lo zucchero.
Resta il caffè.
Abbiamo tolto lo zucchero.
Resta il linguaggio.
Attenzione al linguaggio.
L’industria alimentare gioca con la retorica e scalfisce l’etica.
Chi non sa cucinare racconta storie.
Chi sa cucinare racconta storie degli altri e le condisce con il proprio estro.
“La prosa evocativa con cui ogni alimento è descritto contribuisce più di ogni altra cosa a a rendere il tutto speciale, a elevare un uovo, un petto di pollo o un mazzetto di rucola al di sopra del banale regno di carboidrati e proteine, verso un mondo più intellettuale, con complesse sfumature estetiche, emotive e persino politiche. […]
Il consumatore di oggi è disposto a pagare qualcosa in più solo per sentirsi raccontare una bella storia.
L’industria agroalimentare e ristorativa si affida agli istituti di certificazione e ai copywriter, nonchè alla nostra immaginazione, che ha un ruolo non piccolo nel farci ricostruire mentalmente l’aspetto dei luoghi dove si producono i nostri pasti. La promessa sull’etichetta del pollo bio che sentenzia “allevato all’aria aperta” è mantenuta dall’accesso saltuario degli animali ad uno stetto spazio erboso nel capannone dell’allevamento” (Michael Pollan).
“Ceci n’est pas d’air libre”
“Ceci n’est pas…”
Mais c’est…
Certezze per non morire mai.
Sapere da dove veniamo e dove siamo diretti.
Il nostro cibo: la nostra identità.
Tais-toi e goûte!
Vi aspettiamo in Via Mario Ponzio 10 a Torino per gli appuntamenti con Etnocaffé:
Tra cibo e bellezza.
A.B.
Bibliografia:
Michael Pollan, Il dilemma dell’onnivoro. (2006). Adelphi Editore.