“Millenials” e’ una delle troppe definizioni stupide create da un giornalismo sempre meno capace di analizzare il mondo e di raccontarlo in modo onesto è corretto.
Millenials, ossia i giovani nati intorno all’anno 2000. Come se la condivisione di una data di nascita rendesse omogenea una realtà sempre più variegata. Tra i millenials possono figurare giovani startupper impegnati a creare qualcosa di nuovo ed imbecilli che mettono a rischio la vita di migliaia di persone per ottenere in cambio il quarto d’ora di celebrità. Studenti brillanti e generosi, così come teppisti che vivono di selfie. Ragazzi che cercano in giro per il mondo un lavoro non sottopagato come in Italia e disertori della vanga che si confondono con il divano in cui vivono immersi in attesa della paghetta con cui andare a sballare la notte.
Diversi tra di loro, ma alle prese con un mondo che sentono estraneo perché è davvero estraneo. A parte i cooptati nel sistema marcio e corrotto in cui sguazzano i loro genitori, gli altri ragazzi si ritrovano ad avere a che fare con una realtà che promette loro solo un futuro peggiore rispetto a quello che si trovavano di fronte genitori e nonni. C’è chi demoralizza, chi fugge, chi preferisce ignorare ciò che non fa parte della propria vita quotidiana. C’è chi emigrare chi si impegna negli studi o nel lavoro.
Pochi, pochissimi cercano una soluzione nella politica. Decenni di scandali hanno portato alla nausea per tutto ciò che sembra legato ai partiti ed ai movimenti politici. Difficile far torto ai ragazzi che rifiutano le logiche di accordi sottobanco, di spartizione delle poltrone, dell’occupazione di ogni carica di sottogoverno. Una politica che gestisce gli eventi culturali, spartendo il denaro agli amici e parenti, non può entusiasmare. Ma l’alternativa qual è? Lasciare spazio al potere economico che già controlla ed indirizza le scelte politiche? Con una classe imprenditoriale che, in Italia, offre spesso il peggio di se stessa? Gli scandali politici sono poca cosa di fronte a scandali come quelli delle banche italiane, di Parmalat, di Alitalia, di Italia 90. Ma i giornali e le TV sono controllati dalla classe imprenditoriale che preferisce nascondere i propri fallimenti per illustrare con abbondanza di particolari le colpe dei politici.
Inevitabile che i giovani subiscano l’influenza della disinformazione. Venendo spinti progressivamente sempre più lontani da ogni passione per la politica, per il coinvolgimento personale, per l’impegno legato a un ideale o, perlomeno, ad un’altra idea di società. Meno impegno significa minori possibilità di opporsi al progressivo smantellamento di uno Stato sociale, allo sfruttamento come regola comune, al peggioramento continuo delle condizioni di lavoro e di vita. La precarietà spacciata per flessibilità dalle mille sfaccettature e dalle mille opportunità. La “generazione mille euro”, quella che ha preceduto i Millenials, ha lasciato il posto alla “generazione 600 euro se va bene”. D’altronde senza un intervento diretto dei Millenials nella politica, perché mai l’oligarchia attuale dovrebbe rinunciare ad autotutelarsi?
Ai Millenials manca spesso la consapevolezza che se non saranno loro ad occuparsi della politica, sarà la politica ad occuparsi di loro.
E non basteranno i pochi giovani che si impegnano nei partiti a modificare la situazione.
Ne’ quelli che lo fanno per ideale e ancor meno quelli che vedono nei partiti un’occasione di una occupazione retribuita, di una carriera ricca di denaro e soddisfazioni.
Mancano tutti gli altri loro coetanei.
La rassegnazione non serve a nulla, tantomeno ai Millenials.
Augusto Grandi