Madre di una “ragazza” di 30 anni so per esperienza che solo fino a 4 anni fa ha battuto la testa contro se stessa e contro sua madre e suo padre per l’incapacità di capire la propria identità e il proprio ruolo nel mondo. A 18 anni, con un gruzzolo di poche migliaia di euro che le aveva lasciato la nonna aveva (a nostra insaputa) iniziato a organizzare concerti di musica elettronica (frastuono da rave che lei avrebbe voluto riabilitare per strapparlo alla concezione diffusa che fosse solo musica per sbomballati e strafatti). Nobile iniziativa che ci è costata un occhio per ripagare i debiti che intanto lei aveva accumulato. Per una (non) educazione alla vita si era convinta che i suoi genitori (e di riflesso anche lei) fossero onnipotenti e potessero assorbire qualunque colpo.
Decisivo nel suo percorso credo sia stato a un certo punto l’intervento del Leviatano. Un’infrazione stradale le è costata la sospensione della patente per un anno (una tragedia per lei che considerava la macchina fondamentale strumento di liberà ed emancipazione). L’obbligo di depositare ogni settimana la pipì davanti all’infermiera di una Asl, unica incaricata di questa funzione in tutta la città,, e ogni mese un colloquio con la psicologa hanno fatto il resto. Una bella lezione di vita. Quello in cui non erano riusciti i genitori lo ha fatto lo stato di polizia. Per la prima ( e spero ultima volta) nella mia vita l’ho ringraziato per questo intervento che in condizioni normali avrei considerato invasivo.
Impugnato il bastone (con qualche parvenza di carota) siamo riusciti a farla laureare in un’altra università di più piccola rispetto alla mega Roma Tre, dove non riusciva a legarsi con gli altri e a interessarsi o appassionarsi a niente.
In quel piccolo centro ha ritrovato anche le proprie origini. I miei genitori erano nati in quella provincia e in qualche modo si è sentita a casa.
Infine dopo il Master in comunicazione e marketing ha trovato la strada che l’ha portata ad abbracciare un percorso che avesse un senso. Sorprendentemente per noi (era del tutto astemia) ha scelto il vino e un’impresa con un brand famoso e affermato (in una regione che non era la nostra) dove aveva scelto di fare un tirocinio post master Ha trovato un ambiente affettuoso e caldo con venature di freddezza (una entusiasta lavoratrice che in un ambito ristretto smuove acque stagnanti e pigre viene sempre accolta con diffidenza)
So dai suoi racconti che nel percorso fondamentale è stata la sua cerchia di amici romani, la passione (talvolta la fissazione) di alcuni di loro per questo prodotto che ai loro occhi appare non come vino, ma come cultura. Dei luoghi di produzione, dei loro sapori, delle tradizioni che li hanno espressi.
Solo parzialmente, al liceo, si è impegnata in attività politiche o sociali. Poco o nulla in quelle religiose.
Neppure oggi è ossessionata dalla paura di attentati o della propria sicurezza e ha frequentazioni vaste, dai ragazzi bengalesi che sotto casa gestiscono un bar, alle sue amicizie “miste”. Nere o bianche che siano.
Per il lavoro che fa è inserita in un mondo di consumi e marketing nel quale comunque conta la qualità, il bio, le coltivazioni sane. E’ una privilegiata e ne è consapevole. Cerca di condividere quel che ha ma non ha vocazioni altruiste. Non la vedo salvare un migrante su un gommone, o dedicare tempo alle attività della Caritas.
In fondo penso che mi dispiace un po’, per quello che sono state le mie convinzioni e la mia vita. Sin dall’inizio ho capito però che mi considerava troppo ideologica per i suoi gusti, in ragione della mia durezza intransigente su alcune questioni, e questo ha avuto forse un effetto contro producente. Tutto sommato rispetto al mio il suo atteggiamento è più equilibrato e attento alle differenze, che rispetta (esclusi nazi, fascisti e violenti).
Come inquadrare nelle categorie correnti la sua identità? In fondo è stata tutto. Ventenne, millennials, generazione Y. Aveva 14 anni quando ha scoperto il computer e le infinite possibilità che offriva anche nel mistificare la propria identità, celarla, impedire che altri capissero chi era davvero. Poiché ci siamo accorti che ne abusava glielo glielo abbiamo interdetto per un lungo periodo di tempo. Dopo di che avendo avviato la sua attività di organizzatrice di concerti l’ha usato in modo “sano” per pubblicizzare quello che faceva. Adesso naturalmente ne fa un uso professionale.
Ognuno dei ragazzi di queste ultime generazioni ha un percorso tutto suo che si intreccia a una Storia del mondo e a una condizione umana che in questo momento è difficile da capire per gli abissi di crudeltà e la luce di generosità in cui si divide e si strazia.
Io ammiro quelli che condividono davvero la propria vita con gli altri. Sono semi di speranza per un mondo nuovo ma oggi si trovano spesso a cadere su terreni aridi che rendono difficile il loro attecchimento. Tuttavia la passione e una scala di valori solidi li salva e li fa radicare. Hanno molto coraggio.
Il fatto è, secondo me, che problemi immensi in cui il mondo si dibatte avrebbero bisogno di un vasto schieramento forte, coeso e solidale, di persone generose che affrontino la questione fondamentale: cambiare radicalmente il paradigma che sta distruggendo il pianeta e spingerlo in una direzione opposta. Ma le forze, i poteri economici e politici che lo hanno governato negli ultimi decenni hanno fatto di tutto per disgregare le persone, svuotarle del senso vero della vita (la relazione umana, il buon bicchiere di vino, la convivialità) e al dunque lasciarle sole in balia di identità vuote e insignificanti.
C’ è chi si oppone e opera nuotando controcorrente ma anche in questo mondo generoso le iniziative sono disperse e insufficienti. Del resto anche quando 3 milioni di persone scesero in piazza contro la guerra in Iraq più di un decennio fa, trovarono orecchie più che sorde. Oggi, davanti allo scempio mediorientale, le mobilitazioni sono poche e soprattutto contro il terrorismo e per difendere la nostra libertà e il nostro modo di vivere, come se questi non fossero legati strettamente a quelli degli altri.