Editoriale. Concerto a quattro mani – Canone inverso
Maurizio Grandi e Erica Poli
“Pensare è molto difficile, per questo le persone di solito giudicano”: così soleva dire Jung.
Oggi, secondo alcune ricerche di neurofisiologia e psicologia sociale, nonostante tutto lo scrivere e il parlare e il “postare” o “twittare” che si fa, l’attività del pensare, come attività nobile della corteccia frontale e prefrontale, che richiede introspezione, calma, riflessione, speculazione, ovvero attività lente e profonde, sta drammaticamente diminuendo.
Si pensa di meno, ancor meno si riflette.
La tecnologia ha sostituito il pensiero.
L’intelligenza che è connotata, tra le altre sue caratteristiche, in modo particolare dalla capacità di problem solving, oggi intorpidisce nell’utilizzo di dispositivi che risolvono problemi al posto di chi li usa.
Qualche ricercatore più portato a fantasticare, avanza persino l’ipotesi che, senza l’avvento dei cellulari, magari avremmo sviluppato la telepatia.
Inoltre, la riduzione di attivazione della corteccia frontale e prefrontale si collega anche ad uno spiacevole effetto collaterale: l’incremento del discontrollo degli impulsi. Siamo nell’era della tecnologia, del web, dove si pensa di meno e ci si controlla di meno.
Ma come? Non era arrivata una certa parte della new age con i suoi orientalismi a dirci che il pensiero è il problema, che il pensiero va dissolto con la meditazione?
Intanto una precisazione: dell’Oriente gli Occidentali comprenderanno sempre ben poco.
Perché l’Oriente è atemporale e privo di individualità. Io e tempo: gli ingredienti base per le ricette d’Occidente.
Di nuovo Jung, nella Psicologia del Kundalini Yoga, si vede costretto a riconoscerlo: cerca di capire se il chakra della radice sia dunque in basso e gli viene risposto che è sia in basso che in alto e a quel punto lui stesso ammette che per l’uomo occidentale quel mondo sarà sempre un mistero.
Chi dell’Oriente ha capito qualcosa perché ci ha davvero vissuto, suggerisce alcuni accorgimenti, a chi voglia provare qualcosa del pensiero orientale, perché l’Oriente, altra doverosa precisazione, mica non pensa: basti citare i Veda, il libro più antico, l’astrazione più potente che la mente possa immaginare.
I suggerimenti sono: togli l’orologio, dimentica il tempo, smetti di parlare di te, tu sei quello, tu sei nessuno, smetti di descrivere, di apprezzare il bello e il brutto, diventa vuoto.
E’ probabile che per un Occidentale sia meglio una colonscopia.
E cosa c’entra Ipazia con tutto questo?
Perché il pensiero occidentale non è sempre stato la spazzatura odierna di cui si lamentano, giustamente, i neurofisiologi e pure un certo numero di insegnanti e di allievi delusi.
Il pensiero occidentale è stato grande, è stato potente, cristallino, intuitivo e mistico.
E’ stato donna, sì, anche donna.
Provate ad immaginare una donna ad Alessandria d’Egitto: altro che le biblioteche di oggi, un grande centro di ricerca enciclopedica, con l’intento di tradurre in greco i libri di tutto il mondo, e Lei, la meravigliosa Ipazia, bellissima e intelligente.
Lei che non ha nessun calcolatore e inventa il planisfero, l’astrolabio e l’idroscopio.
Lei che non ha internet e non ha cellulare, non ha software, né programmi statistici e, disegnando con un bastone e una corda che girano attorno a due torce conficcate nella sabbia, immagina, intuisce l’orbita ellittica della Terra attorno al Sole.
Lei che usa il pensiero per le nobili alture alle quali naturalmente tende. Lei che pensa come pregare, e pensa e prega un Dio che non ha paura del dubbio e non ha paura delle parole, perché dubbio e parole sono anch’esse sue creature.
Lei che quando studia la matematica del cosmo, ne sente la musica.
Lei che ama mentre pensa, pensa perché ama, ama perché pensa.
Questo è il genere di pensiero a cui sarebbe bello tornare.
Forse è il genere di pensiero che fa paura alla Chiesa e allo Stato, perché è libero, molto libero: eppure non dovrebbe, perché è così libero da lasciare liberi tutti, è così amorevole da dare a tutti i frutti che raggiunge.
E’ trasparente come lo era Lei, che insegnava per strada a chiunque, davvero chiunque lo volesse, quel che sapeva.
Eppure i seguaci di un Dio che chiamavano cristiano, la denudarono, avidamente, la fecero a pezzi nel Cesareo e la fecero ardere, insieme ai suoi libri, antesignana di altre donne, streghe e mistiche.
Di nuovo per chi conosce il Cristianesimo, quella professione di fede cristiana, di cristiano aveva poco, era più che altro il paravento della sete di potere degli uomini, in quel caso impersonata dal nome Cirillo, con i suoi monaci-esercito, e con tanti tanti altri nomi che la storia nei secoli annovera.
E Ipazia sparisce, nel X secolo l’ultimo accenno, poi il nulla lungo tutto il Medioevo.
Ricompare con Pascal, poi Diderot la ritrova e la cita nella sua Encyclopedie, guarda caso alla voce Eclettismo e per questo finisce pure in galera, per poco e in buone condizioni, con Madame de Pompadour che lo protegge, ma pur sempre in galera arriva, perché l’eclettismo fa paura.
Un pensiero eclettico infatti quello di Ipazia: matematica, filosofa, astronoma, politica, guida spirituale, platonica ed aristotelica insieme, esoterica e pubblica.
Il neoplatonismo: tutto il sapere esiste già e le idee innate si risvegliano al contatto con i sensi.
Questo fa paura: il germe di un umanesimo che riporta il divino nell’uomo, come musica che si risveglia con i sensi.
Carne e spirito, bellezza e intelligenza.
Momigliano, riprendendo Gibbon, si interroga sul perché finì l’Impero Romano: la Chiesa lo divorò da dentro, perché le cariche dei prefetti delle province divennero quelle dei vescovi e i filosofi non servivano più, anzi erano pericolosi.
E ancora Umberto Eco, commentando il Momigliano, riflette sul fatto che quel mondo sedicente cristiano non avrebbe vinto sul mondo pagano se non avesse preso il peggio del paganesimo: il culto dei santi e dei miracoli, dei taumaturghi, le superstizioni.
E il meglio? Ipazia, l’arte e la scienza, lo spirito nella materia.
Al rogo, insieme a tutti i Libri.
Ma la Paideia, il modo più fertile ed efficace per coltivare la mente e l’essere umano alla sua integrità, arde sotto la cenere. Ipazia è ancora viva.