Perché ancora oggi, nell’epoca della tecnologia avanzata, del digitale e del web, la banda suscita curiosità, gioia in adulti e bambini?

Perché è di tutti e per tutti; è un patrimonio condiviso e ognuno si sente in  diritto di goderne, semplicemente, senza alcun tramite.

Ascolto ed emozione diretta.

Quando suona la banda, ci si sente “dentro”, parte di quel suono, le nostre vibrazioni sono prontamente in sintonia con  quei suoni che già fanno parte del nostro patrimonio sonoro.

Ora le Bande militari, sono istituzionalizzate, si esibiscono anche negli auditori, in origine destinati solo alle orchestre sinfoniche, ma fino ai primi anni del dopoguerra, le esibizioni si svolgevano in luoghi aperti.

Uno degli appuntamenti primaverili preferiti dal pubblico romano era al Pincio, proprio a ridosso della balaustra che affaccia su Piazza del Popolo.

Luogo ideale per festeggiare l’arrivo della Primavera che dava il meglio di sé con fioriture multicolori, alberi rigogliosi, il tutto arricchito dalla musica festosa delle bande che si alternavano soprattutto nelle festività domenicali. In questo scenario, mentre gli adulti ascoltavano il concerto, i bambini potevano dedicarsi alla loro attività preferita: il gioco, senza costrizioni di alcun genere e senza l’obbligo di stare seduti “composti e attenti”, come sarebbe stato in altro luogo destinato al pubblico.

Il repertorio delle Bande era in genere costituito da inni, marce e  trascrizioni d’opera, sia ouverture che romanze. Il lavoro di trascrizione, fatto per lo più dal direttore e concertatore, faceva sì che tutti potessero avvicinarsi alla cultura musicale,  che altrimenti sarebbe stata condivisa  solo dalle classi sociali elitarie. I nostri “nonni” erano in grado di riconoscere i brani tratti da opere di successo sin dalle prime note e questo riconoscimento significava anche sentirsi integrato nella società a qualsiasi ceto si appartenesse.

Non c’era festa patronale nei rioni di Roma e nei paesi limitrofi senza quei suoni, quelle melodie, espresse dagli strumenti a fiato, quei ritmi enfatizzati dai tamburi, e grancassa che  dovevano accompagnare le processioni e intrattenere il pubblico la sera  sul palco montato in piazza per l’occasione. Il palco era in  legno dipinto con colori tenui  per dare risalto a  tralci di fiori e foglie, che ne adornavano le colonnine e le cornici. Gli ascoltatori erano in piedi, qualcuno portava la sedia da casa, ma solo coloro che intendevano seguire tutto il concerto; un’altra parte di pubblico, magari con bambini al seguito, restava in piedi per potersi muovere e cedere alle richieste dei più piccoli che aspettavano di poter gustare il tanto atteso zucchero filato.

In alcune cittadine di provincia i “Concerti al parco” si svolgevano nella Villa Comunale nella “Cassa Armonica” che era una costruzione fissa per lo più in ferro battuto e vetri colorati, posta più in alto rispetto al livello degli spettatori che durante il concerto potevano passeggiare, scambiarsi convenevoli e godere delle belle giornate primaverili.

Molte cittadine e anche piccoli paesi avevano una loro Banda Comunale costituita sia da musicisti stipendiati che “aggiunti”; magari persone dedite ad altri lavori nella vita di ogni giorno, i quali venivano chiamati come rinforzo in occasioni particolarmente importanti. E’ curioso, ma vero: in alcune circostanze in cui era necessario un organico più grande, per fare bella figura con ospiti importanti venuti da fuori, si richiedeva presenza di “comparse” che, con tanto di divisa e strumento avevano il compito di “fare finta” di suonare. Si mescolavano ai veri musicisti, nelle file interne e venivano pagati a fine giornata. Questa prassi si evince da alcune liste di pagamento conservate nei piccoli archivi comunali, ma non riguarda certo  Roma che, come si è detto nel precedente articolo, fin dai primi del ‘500 contava “…due cori di musici, uno di voci e uno di stromenti”. Ma la storia che ruota intorno alla Banda non finisce qui… curiosiotà e aneddoti attendono il lettore.

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