Di Elsa Veniani
Ci sono Esseri Umani che sono chiamati ad essere come stelle nel firmamento. Forieri di preziosissimi doni che rimangono lassù, nel cielo, affinchè possano essere colti dall’Umanità nel corso dei secoli; messaggeri di qualcosa che accompagna la vita in questa dimensione al di là del tempo che scorre, delle civiltà che si susseguono, dei mutamenti e delle trasformazioni che accadono, delle esistenze che si avvicendano in contesti sempre diversi.
Come fossero punti di luce destinati ad illuminare cuore e mente di ogni persona che, proprio sotto quella volta celeste, è chiamata a sperimentare la vita, qualsiasi sia o sarà l’epoca in cui muove o muoverà i suoi passi.
Dante Alighieri è senza dubbio una di queste stelle di cui il cielo della nostra esistenza, dopo ben 700 anni dalla sua scomparsa, ancora oggi è costellato e a lungo continuerà ad esserlo.
Peccato però che molti di noi abbiano perso l’abitudine di rivolgere lo sguardo verso l’alto, ad ammirare proprio gli astri che dipingono la notte. Io per prima ho avuto a lungo gli occhi rivolti al solo piano della sopravvivenza e voglio ringraziare chi mi ha dato l’opportunità di lasciare il mio sentire dentro questa rivista per avermi ricordato che sopra di me esiste un cielo stellato.
Quando mi è stato proposto di scrivere in merito a Dante Alighieri, mi sono chiesta cosa mai potessi dire io in riferimento a qualcuno che in realtà mi sono limitata a studiare, per dovere, a livello scolastico, attraverso quella che, a quindici anni, mi risultava come un’opera ostica e il cui senso mi sfuggiva: la Divina Commedia.
Ma, anziché rinunciare, ho provato a guardare le stelle, ad indagarne non solo la Bellezza, bensì il messaggio che si cela dietro quei punti di Luce che dalla notte dei tempi brillano nel cielo sopra di noi.
Ecco che allora riscopro nelle parole di chi Dante lo ha studiato a fondo, dedicandogli una vita intera, la potenza e la meraviglia di un messaggio che investe l’Uomo di ogni tempo, compreso il nostro. Oserei dire, soprattutto il nostro!
In fondo, come non riconoscere nella pandemia che stiamo vivendo ora, in maniera così puntuale ed evidente, quella “selva oscura” di cui proprio Dante narra. Potrebbe questa definizione, maturata ben 700 anni or sono, essere più attuale, precisa e potente se non in questo momento? Brancoliamo nel buio, animati da una miscela di incertezza e paura, spaventati e persi. E ancora una volta, ci dimentichiamo di fermarci per sederci ad ammirare il cielo. A contemplare Dante che, proprio con la Divina Commedia, ci ammonisce di quanto il viaggio che ci spetta non può che essere compiuto tutti insieme, accompagnati da un Dio che dovremmo percepire come Presenza forte e determinante più nell’”Aldiquà”, anziché nell’”Aldilà”.
Un senso del Sacro e della Comunione che abbiamo perso strada facendo, dimenticando quasi completamente il compito che a ognuno di noi spetterebbe: quello di indagare la Natura di Dio e dell’Uomo al contempo. E per adempiere a questo scopo, ci è riservato un viaggio! E spesso troviamo mille scuse per non affrontarlo; perché faticoso, difficile e insidioso, a tal punto da convincerci che non abbiamo capacità alcuna per accingerci a muoverne i passi.
Eppure, dentro quella “selva oscura”, volenti o nolenti, siamo chiamati ad addentrarci. Tutti, nessuno escluso. Ed ecco che allora, rimirando la stella di Dante, ho scelto di iniziare il mio personale viaggio all’interno della Divina Commedia. Ma stavolta non da studente, come un percorso imposto. Ma come una donna alla quale una malattia ha mostrato la cecità cui inconsapevolmente soggiaceva, schiudendo le porte alla vita, all’aspirazione al Bene, alla manifestazione dell’Amore che incarna.
In fondo Dante ci spalanca le porte sul senso dell’esistenza e forse, mai come oggi, siamo chiamati a tentare anche solo di indagarlo. Una nuova sfida che mi aspetta, senza pretesa alcuna se non quella di sondare i misteri della Vita grazie all’Opera di Uomini come Dante e al lavoro incessante di chi Dante lo sa riportare e tradurre ai nostri giorni, rendendolo a noi fruibile in ogni suo aspetto e significato.Un cammino, questa volta, con lo sguardo volto alle stelle. “Stelle”, guarda caso la parola con cui Dante sceglie di terminare le tre cantiche della Divina Commedia. Quasi a volerci donare un segno di Luce e di speranza che accompagna quel meraviglioso ed incredibile viaggio che è la nostra vita.