L’etnobotanica é lo studio degli usi di piante indigene, delle interrelazioni fra popoli e piante.
La disciplina coinvolge la ricerca archeologica sugli usi delle piante e le più recenti applicazioni biotecnologiche delle specie vegetali. Ha un ruolo fondamentale nello studio delle piante medicinali.
Ogni popolo ha impiegato le piante e parti di esse nella cura delle infermità e ne ha sviluppato la conoscenza relativa. In botanica e antropologia associate alla religione, esiste un’identificazione tra il guaritore tradizionale e lo sciamano, la persona capace di utilizzare piante con proprietà “speciali” per “risvegliare gli spiriti” o per raggiungere stati alterati di coscienza. Le piante medicinali assumono un ruolo di cura e, allo stesso tempo, rituale: entità culturali e/o magiche.
La botanica “biologica” focalizzando l’attenzione sullo studio delle piante “utili”, può offrire materiale di elezione per ricerche di tipo fitochimico e farmacologico, un approccio privilegiato per lo studio e lo sviluppo di nuovi principi attivi.
Nelle comunità rurali delle Ande peruviane settentrionali, il guaritore tradizionale o curandero ha un ruolo centrale: è l’intermediario tra il nostro mondo e il mondo delle forze spirituali; ed è allo stesso tempo anche un terapeuta e un esperto:
– delle piante curative,
– delle piante psicotrope (usate per risvegliare spiriti religiosi, in termini farmacologici, per raggiungere stati alterati di coscienza)
– delle piante tossiche
La cultura sciamanica nell’area Andina del Perù risale a periodi pre-colombiani, continuamente arricchita da apporti interculturali e interetnici, fino a quelli, relativamente recenti, della medicina europea, attraverso la conquista. (Reducciones dei Gesuiti)
In questo sistema medico tradizionale, le piante psicoattive giocano un ruolo essenziale, come intermediarie tra ciò che è umano e ciò che è soprannaturale. Gli sciamani Andini ne associano l’azione con una depersonalizzazione soprannaturale o con una dissociazione del corpo dallo spirito.
Le pratiche sacramentali intendono stabilire un contatto con il sacro per produrre uno stato di estasi. Il rito divinatorio rende capace lo sciamano di trovare le origini delle malattie ed i rimedi per la loro cura, o per localizzare un oggetto o una persona scomparsi.
La maggior parte delle malattie, causate da uno squilibrio nel rapporto naturale fra uomo andino e natura, ancora oggi è trattato dall’Uomo di Medicina, perché la medicina “moderna” anche se presente, non può dare risposte efficaci.
“La malattia è provocata da eventi soprannaturali. Ogni pianta, ogni montagna, i laghi, i fiumi sono dotati di uno spirito che può provocare un disordine nell’armonia e quindi infermità nell’uomo.
Le piante medicinali curano perché possiedono un proprio spirito, una virtù che combatte gli influssi negativi (“encantos”) causati da entità avverse”.
Le più importanti piante psicoattive adoperate nelle pratiche tradizionali sono i cactus Tricocereus pachanoi “San Pedro”.
(Britt. Et Rose e T. peruvianus Britt. Et Rose).
Contengono mescalina e derivati della fenetilamina, ben conosciute per le loro proprietà psicofarmacologiche. Molto poco si sa riguardo all’impiego di altre specie, ritenute allucinogene e normalmente usate in associazione al San Pedro nei riti magico-terapeutici dei curanderos.
L’”hornamo morado” [Valeriana adscendens Trel. (Valerianaceae)] é aggiunto al decotto di San Pedro per aumentare il potere allucinogeneo.
Attraverso il consumo di San Pedro, il curandero raggiunge la trance; lo sciamano effettua, la diagnosi, vede la causa delle malattie e prescrive il rimedio vegetale. E’ la pianta centrale del curanderismo andino: nella religione cristiana San Pietro è colui che possiede le chiavi del paradiso; parallelamente il cactus mescalinico permette al curandero di separare la propria anima dal corpo, raggiungere il mondo delle forze soprannaturali, vedere la causa della malattia, scegliere quale specie medicinale può essere utile nella terapia.
I curanderos possiedono una profonda conoscenza botanica e delle “mishas”. Conoscono le varie specie di Brugmansia, i loro ibridi, la morfologia, le proprietà farmacologiche, tassonomia.
Per le potenti attività centrali delle “mishas” il loro uso è strettamente riservato al curandero.
Su una delle “mishas”, Brugmansia arborea L. (Lagerheim) hanno condotto studi chimici e farmacologici, che hanno da una parte portato all’isolamento di tre alcaloidi:
gli estratti della pianta presentano importanti effetti sul sistema nervoso centrale. Estratti di B. arborea ed i composti isolati riducono, in esperimenti in vitro, la dipendenza da morfina. I dati mostrano una elevata attività anticolinergica e confermano in maniera sperimentale gli usi tradizionali della pianta.
http://www.la-torre.it/blog/fitoterapia-etnomedicina-etnofarmacologia-2790.html
https://www.etnopharma.com/primae