L’Altro’ come specchio ‘scomodo’. Nuove visioni del Mito di Narciso.
di Ilaria Bruschi
Perché il mito di Narciso ha sempre affascinato non solo l’immaginario popolare ma anche i filosofi, letterati e gli psicoanalisti?
Lo specchio ha un enorme potere simbolico che affascina e suggestiona l’essere umano. Esso riflette ciò che desideriamo oppure ciò che non vogliamo vedere mentre apre ad infinite realtà possibili: nuovi scenari trasformativi della coscienza.
La tematica dell’Io che si perde nel riflesso oppure che ritrova se stessa nello sguardo dell’altro, è una tappa fondamentale dello sviluppo della coscienza di se stessi.
Questo processo può assumere innumerevoli strade: nel senso di elevazione della propria coscienza nel rapporto con gli altri oppure di annientamento nelle profondità solitarie del “black mirror”.
Tutto questo dimostra che il mito di Narciso ha ancora molto da raccontare alla nostra società odierna e che il suo significato poliedrico cambia nei secoli ma continua a riflette tematiche tutte da scoprire.
Il riflesso scomodo
E’ proprio vero che – come dice J. P. Sartre – “L’Altro è l’inferno”?
E noi quale inferno vediamo? Il nostro o quello dell’Altro?
Nell’antica Grecia esistono parecchie versioni del Mito di Narciso, la cui lettura può essere interessante per la tematica dell’Io che si riconosce attraverso lo sguardo dell’Altro e nel simbolismo dello ‘specchio’.
In entrambi i miti comunque Narciso purtroppo annega… è incastrato nel riflesso dell’Altro: invece di cogliere se stesso, cerca di afferrare nell’acqua un’illusione che alla fine lo distrugge.
Attraverso lo specchio, l’Altro è solo un riflesso di noi.
Nella versione classica del mito che noi tutti conosciamo, Narciso respinge l’amore della ninfa Eco, nel pensiero comune questo passaggio è stato spesso interpretato con l’immagine di un uomo che non vuole una compagna che lo possa completare, non vuole crescere e non si mette in discussione sui propri limiti e così muore, costretto a raggiungere la propria immagine rispecchiata nell’acqua.
La depressione nel Narcisismo
Nella seconda versione che Ovidio dà del mito, riportata dallo psicoanalista Mauro Fornaro (Il Soggetto Mancato, 2000): “Narciso muore non perché innamorato della sua immagine ma quando si avvede che il suo alter ego è solo un’illusione; infatti fino ad ora aveva creduto che quanto vedeva nel riflesso non fosse la sua immagine bensì un’ altra persona reale. Allora Narciso più che un narcisista sarebbe in realtà un depresso, che ha perduto l’oggetto d’amore creduto reale. Non è secondario che, Narciso anneghi nella fonte di cui la madre Liriope è la ninfa”.
Il mito antico, in entrambe le accezioni, conferisce al riflesso della propria immagine, la qualità di momento in cui è possibile attuare, un processo d’esplorazione del proprio sé, il cui esito se non adeguatamente affrontato e mediato dall’Altro può dare conseguenze drammatiche.
Il riflesso dell’Altro nelle relazioni affettive
Nei momenti successivi alla nascita, la vulnerabilità dell’organismo e la dipendenza dall’ambiente materno sono totali. Ester Bick, essendo profondamente consapevole dell’esperienza della corporeità e del ruolo dell’accudimento, descrive la funzione esercitata dal contatto fisico e dalla pelle, un fattore determinante che aiuta a stabilire nel bimbo un confine tra mondo interno ed esterno e come questo contatto con l’Altro garantisca il passaggio dal vissuto fisiologico di non-integrazione ad un vissuto di auto-contenimento corporeo, permettendo la formazione del mondo psichico del bambino
Se la relazione tra essi non segue una specifica sintonia emotiva, ossia lo sguardo e l’espressività della madre sono evitanti, oppure fissi e amimici, le conseguenze sono disastrose: le medesime descritte nel mito antico: comportamenti di evitamento, ricerca ansiosa, disintegrazione della personalità; tutto quello che accade a Narciso sulle sponde del lago.
Quello che l’essere umano percepisce nei primi anni vita diventa un modello strutturato sulle prime esperienze relazionali che inciderà positivamente o negativamente nelle sue successive relazioni affettive. Ecco perchè molte relazioni naufragano, ripetendo sempre i medesimi copioni.
Molto spesso coloro che ci sono davanti, sono proprio il riflesso ‘giusto’, ma lo specchio è uno ‘specchio scomodo’: non riflette per niente ciò che noi vorremmo vedere. Quindi la colpa è dell’Altro’… Per questo come dice J.P. Sartre “l’Altro è l’inferno”
Lo specchio nero: quando l’essere umano sprofonda nell’abisso del black mirror
Otto Kernemberg, psichiatra e psicoanalista austriaco, come nel narcisista le parti del “Sé grandioso” e onnipotente vengano mantenute nel tessuto del Sé mentre quelle negative vengono sostanzialmente proiettate all’esterno, sugli altri.
L’altro non potrà mai più essere il perno della relazione ma essere unicamente svalutato e biasimato nel momento in cui diventa proprio lo specchio scomodo che non gratifica o peggio che riflette parti di noi inaccettabili: aspetti del Sè che, in una relazione sana con l’Altro, sarebbero terreno di crescita, confronto e di maturazione degli affetti.
Lo sguardo dell’altro non è più un ponte di relazione ma rimane gelido e vitreo: un semplice supporto “social”, da sfruttare in cui mettere like e “follow”.
La relazione è quindi annullata visto che potrebbe mettere un limite o interferire nell’estenuante ricerca che consuma e distrugge il narcisista, de umanizzandolo.
Nel 1890, Oscar Wild scriveva un eccezionale romanzo: “Dorian Grey”, giovane libertino inglese che conduce una vita sociale piena di piaceri dissoluti ed estatici mentre la sua anima marcisce nel buio della propria soffitta: macchiandosi di crimini e misfatti e discendendo negli inferi degli omicidi: “Era forse l’anima, quell’ombra seduta nella casa del peccato?”
Sì era proprio l’anima, svuotata di ogni valore umano e altruista.
Un secolo più tardi, nel 1980, Christopher Lasch pubblica un volume intitolato “La cultura del narcisismo” in cui descrive non più la vita di un personaggio romanzato, esponente di una classe sociale annoiata ma un’intera società di massa, individui paranoicamente fissati sul successo personale e ossessivamente incastrati nel culto dell’immagine di Sé.
Immagine, ancora oggi osservata, filtrata, modificata, attraverso il nostro piccolo, misero ma molto comodo, “black mirror”.
Ilaria Bruschi è psicoterapeuta, terapeuta EMDR, art therapist.
Si è laureata a Milano, in Psicologia dello Sviluppo.
Successivamente ha conseguito il Master in Neuropsicologia clinica, con particolare interesse all’influenza reciproca dei disturbi psichiatrici e delle patologie neurodegenerative, entro un contesto clinico e di ricerca.
Si è specializzata a Bologna in Psicoterapia Integrata all’uso di Terapie Espressive e, in seguito, presso le Botteghe d’Arte dell’Ospedale Niguarda.