Di Erica F. Poli e Maurizio Grandi
The British Medical Journal, 12 febbraio 1910. Su quella che diventerà la più prestigiosa rivista di Medicina per la comunità medica di tutto il mondo, esce un articolo che oggi parrebbe quantomeno curioso per il target contenutistico di una rivista medica, che debba essere scientifica, secondo i canoni della scienza di oggi.
“Was Dante a Doctor?”: se ne trova ancora la copia fotostatica di pagina 396 nel web, nella sezione, guarda caso, intitolata Nova et Vetera. La prima riflessione con un po’ di amaro in bocca… A quale scienza interessa oggi la relazione tra nova et vetera? A fatica, ingrandendo un poco l’immagine, seppur sgranata, se ne leggono i contenuti.
La disquisizione è conturbante. Di certo l’Alighieri conosceva bene tanto il De generatione Animalium di Aristotele quanto il Summa Theologiae di San Tommaso d’Aquino, conosceva la fisiologia e l’embriologia della sua epoca e anche in alcuni passaggi della Vita Nuova una conoscenza medica degna di un esperto traspare innegabilmente.
I canti dell’Inferno sono costellati di riferimenti medici, il ventinovesimo poi consta di moltissimi dettagli che senza una precisa conoscenza della medicina sarebbero stati molto difficili da inserire. A tratti, il Poeta sembra passare tra i dannati come tra i letti di un ospedale, dove le pene infernali riecheggiano la malaria, la lebbra e la gangrena che affliggevano l’Italia di quell’epoca.
Nel trentesimo canto la descrizione è persino innegabilmente clinica seppure in aulica poesia: difficile, se non impossibile per qualcuno che quadri di quel genere non li avesse visti da vicino e con gli occhi del medico. Dalla sete alla febbre, dalla idropisia alla dispnea: un realismo clinico che solo un medico, ancorché poeta, avrebbe potuto esprimere.
Di certo Dante aveva studiato e forse anche praticato la medicina alla prestigiosa Scuola Medica Chirurgica di Bologna, che ancora oggi onora il Poeta per i suoi legami con quelle radici mediche. Patrizia Fugazzi si è occupata di approfondirli, cercando tra i Volumi pubblicati per i Centenari della Società Medica Chirurgica e il ricco medagliere che li accompagna, tra cui spicca una medaglia commemorativa dedicata a Dante, e ancora indagando la relazioni tra la Società Bolognese e Firenze nelle celebrazioni dedicate al Poeta o conducendo ricerche tra i “Bullettini delle scienze mediche” editati dalla Società stessa. Se ne evincono i tasselli e i segni di una presenza di Dante tra i due mondi, letterario e medico, a tal punto da farci ritenere che, nonostante l’ampliamento incessante del sapere medico tecnologico, il che ne rende quasi impossibile l’acquisizione completa dalla mente di un singolo medico e obbliga quindi alla iper specializzazione, quel che sarebbe davvero necessario è indirizzare lo sforzo accademico allo sviluppo nello studente di capacità di pensiero versatile, flessibile, capace di abbracciare la complessità del nostro mondo, la sua Incessante mutevolezza, la veloce e incerta articolazione delle variabili in gioco. In questa complessità è sempre più evidente che non bastino competenze tecniche, ma servano capacità emotive e intuitive. Il medico in passato era assai più spesso che oggi anche letterato, filosofo o poeta. E se questo oggi sembra desueto, è invece il potenziale e più potente antidoto per rinsaldare la forza, il senso, e anche l’efficacia della nostra medicina.
L’Opera di Dante, così colma di emozioni, immagini, turbamenti, sensazioni, figlia dell’interiorità di un Poeta che era anche Medico, non dovrebbe restare chiusa nei circoli letterari ma fare ritorno anche nelle Scuole Mediche in cui già ha abitato a pieno titolo.
E questo ancor più se si pensa che Dante non era soltanto Medico, fu anche presumibilmente “Paziente”. Nella selva oscura non ci sono solo l’esilio, l’isolamento, i conflitti di una politica e di una società di cui Dante era parte e una posizione di cui pagava il prezzo. Forse ci fu anche l’epilessia di Dante, ipotizzata da Lombroso in quella caduta del “caddi come corpo morto cade” e poi tramutata in tempi più moderni nel 2013, dal Dott. Giuseppe Plazzi con la Societa di Neurologia di Bologna, nell’ipotesi di una narcolessia. Quel che colpisce sono le vivide descrizioni di sintomi, sensazioni, percezioni e la partecipazione emotiva con cui vengono narrate, che non è paragonabile a quella di altri narratori e che rende difficile pensare che Dante non le abbia conosciute davvero.
La Divina Commedia allora si profila anche come viaggio di guarigione interiore… prima ancora della trasposizione metaforica, simbolica e alchemica, sembra prender forma quella terapeutica. Suggestioni, affascinanti, non vi è dubbio… e quel che vi è di conturbante, nell’articolo del British Medical Journal di più di un secolo fa, sono le conclusioni.
È lì che ci sono le note più intriganti, quando si parla del “valore enciclopedico del nostro più grande Poeta” e delle “sue profonde cognizioni intorno all’ars medica” concludendo che Dante, se pure forse non esercitò la Medicina in senso stretto, fu Medico, Filosofo e Poeta assieme. E pensare che nell’oggi, più di una volta accade di sentir definire quella medicina che si intreccia all’arte e alla filosofia, con il termine poco carino di pseudoscienza. Eppure neuroscienziati come Antonio Damasio hanno affermato che “lo strano ordine delle cose” non può essere spiegato alle sue origini chimiche e biologiche soltanto con un paradigma razionalista, perché alla base dell’omeostasi del vivente, fosse anche un’entità batterica, c’è la percezione, il sentimento che è prima di tutto il poter sentire e rappresentare interiormente questo sentire.
C’è bisogno di arte per comprendere i meccanismi di regolazione del vivente, e sempre più di arte quanto più alta è la sua complessità. Arte come rappresentazione di percezioni, arte come unica via di indagine per il mistero della vita. Arte che non esclude il metodo galileiano di ricerca, ma lo ispira, e poi se ne fa contemplare. La biologia è una Divina Commedia. Al poeta dentro ognuno di Noi il compito di viverla e cantarla.
Allora al crocevia tra Medicina, Filosofia e Arte nasce, o rinasce, un percorso. Alla ricerca di Beatrice.
Alla Ricerca di Beatrice: il percorso.
9 passi, 3 nell’Inferno, 3 nel Purgatorio, 3 verso il Paradiso.
9 mesi, il tempo di una gestazione, di un viaggio di nascita e incarnazione, per immaginare di rinascere attraverso la lettura, la conoscenza, la cultura, al senso interiore dell’esistenza. E farlo, onorando il codice italiano del genio che è al contempo patrimonio universale.
9 articoli per accompagnare un cambiamento. Il tempo delle stagioni, dal presente sino al prossimo Natale, sino alla prossima Nascita Sacra, per attraversare le tre domande universali, “da dove vengo, dove vado e chi sono”, attraverso la grande metafora del viaggio nell’al di là, con i suoi simboli, le sue alchimie e i potenti rimandi che contengono per l’attualità. In un mondo che cambia continuamente e velocemente, mentre la pandemia segna “la fine del mondo” come lo abbiamo conosciuto, come da sempre è accaduto alle catastrofi che hanno sconvolto ecosistemi e società viventi, si può ritornare al cuore sacro dell’Umanità, navigando nell’incertezza della selva oscura, affrontando l’angoscia dei gironi infernali, drenando il dolore mentre si torna a guardare e sognare le stelle. C’è un mistero di bellezza che l’essere umano ha il compito ontologico di ricercare: c’è Beatrice da cui farsi condurre.
Di fronte all’immenso cosmo, al tempo delle stelle e delle galassie, non siamo che polvere transitoria o piuttosto un dannoso inquinamento per gli ecosistemi. Ma forse il nostro ruolo in questo cosmo è quello degli occhi che lo contemplano, delle note che lo celebrano e delle parole che lo raccontano. Spetta alla nostra Specie onorare la sacralità della Natura, cantare la Divina Commedia della Vita, sospesa tra la nascita e la morte e al di là di esse, nell’infinito.
Quando siamo cuore ascoltante e mente danzante, corpo pulsante e anima risonante stiamo bene dentro di noi e nella Natura cui apparteniamo. Natura e cultura si toccano, danzano insieme.
Alla ricerca di Beatrice, alla ricerca del senso dell’essere umani nel kosmos, secondo la Grecia Antica, l’ordine di interdipendenza del tutto.