I frutti dimenticati.

 di Erica Francesca Poli

A Bologna c’è una Bottega della pioggia dove vendono il brodo di Giuggiole.

Me lo racconta Francesca, che è al mio corso, insieme alla Bimba che porta nel ventre gravido, il frutto più prezioso.

Anche Madre Terra ha i suoi Figli, frutti che ci nutrono.

Qualcuno pare dimenticato. Altri sono violati. La biodiversità trema, mentre l’Amazzonia viene distrutta, come una donna violentata, ferita dai tagli nel suo ventre. E non solo l’Amazzonia, naturalmente.

E la presunta difesa di Madre Terra pare affidata ad una Ragazzina che ha smesso d’andare a Scuola e farà immagine là dove non deciderà le sorti di nulla, visto che forse le sarebbero serviti dei Libri e degli Insegnanti per non dimenticare frutti preziosi e soprattutto avere almeno qualche speranza ai tavoli delle decisioni, non quelli che si vedono in TV, quelli che non si vedranno mai e sempre tirano le somme della globalizzazione.

Ognuno è libero di pensarla come vuole e ben venga ogni tentativo di difendere la Madre che ci accoglie e ci fa vivere. Soltanto che pare grottesco sentir parlare di massimi sistemi quando nel giardino dietro casa, sull’albero, ci sono le Avellane che nessuno coglie più.

Vanna, anche Lei Collega, Allieva al mio corso, raccoglie ancora i frutti che pendono dai rami dell’albero del vicino. Solo dai rami che ondeggiano oltre il confine del suo giardino e per scelta di crescita sono diventati i suoi. Le piante si sanno muovere meglio di noi, pur stando ferme e questo la dice lunga sui poteri dei frutti che ci offrono, poteri antichi di trasformazione.

Così mi ha portato un sacchetto di Giuggiole raccolte dall’albero la mattina stessa.

Ammetto che io stessa non le avevo mai viste… sembrano delle olive o delle bacche cresciute un po’ troppo… hanno un sapore strano, sospeso tra l’acidulo e il dolce e sono gentili nello sprigionarlo oltre la buccia elastica tra il rosso e il marrone.

Vengono dalla Siria, i Romani le importarono. In Cina e in India sono coltivate da 4000 anni.

Mi hanno raccontato che a Bologna c’è la fiera, la fiera dei frutti dimenticati. Ecco, parlare dei frutti dimenticati mi sembra un bel modo per riaprire il territorio dell’ Etnofarmacologia di Ongood, perché forse Etnofarmacologia vuol dire recuperare il ricordo delle radici da cui proveniamo, forse vuol dire tornare a curarci con le piante che vivono nella terra a cui apparteniamo e difendere la biodiversità in tutto il Pianeta.

Quanti frutti dimenticati in questo autunno da ricordare…

Le Azzeruole, piccole mele selvatiche, che stavano sulle tavole rinascimentali, i Corbezzoli, le Corniole, le Sorbe, l’Uva Spina o Uva Ursina….

Quante piante dimenticate che le nostre madri e le nostre nonne e le madri delle madri e la catena delle madri prima di noi, sapevano usare nel silenzio, nel segreto delle tradizioni popolari che riecheggiano forse il passato delle streghe e qua e là lasciano i loro segni, le tradizioni di tutto il nostro “bel paese”, da Nord a Sud.

Ma anche i Padri hanno fatto la loro parte, viaggiando per cercare piante lontane, andando per boschi a studiarle e a riconoscerle…

Mio Padre in questa stagione mi portava per boschi, oltre alle castagne, il corbezzolo e la corniola ci attendevano.

Li assaggiavamo, strada facendo, alcuni erano troppo aciduli, legavano la bocca.

Indimenticabile, quel sentore torna insieme ai sentimenti.

Per chi vuole, magari dopo aver letto queste storie, l’autunno attende con frutti dimenticati, dietro casa, ricchi dell’energia della natura prima del buio e del freddo, un condensato di fitocomplessi preziosi come il canto del cigno che esprime tutta l’intensità che può prima della fine. Quell’energia, immagazzinata, conservata, potrà sorreggere il tempo dell’inverno sino alla prossima primavera.

 

Non dimenticate i frutti.

 

Post correlati