In difesa del sacro e dell’utopia
Dai salotti letterari, ai caffè filosofici, a ritroso nelle botteghe d’arte rinascimentali, fino al Symposium di Platone.
Luoghi non luoghi, u-topos, utopia.
L’isola che non c’è, quella dove esiste l’impossibile, il sogno, il desiderio, l’anelito dell’umano a quel che c’è dietro, sotto, sopra… al mistero di quel che trascende i confini.
Un salotto di cultura moderno e antico quello della Scuola Apeiron, una bottega d’arte che riprende fermento, con i maestri e gli apprendisti: dalle finestre di un salotto d’una villa romana in stile neogotico, dove uomini e donne, insieme, immaginano percorsi di studio e di ricerca, si vede una chiesa, neogotica anch’essa, dedicata a San Tommaso Moro.
Un auspicio: Colui che scrisse Utopia, colui che non si piegò all’omicidio del sacro, sembra guardarci dal rosone che ricorda quel che non si vedrà forse più a Notre Dame.
Bruciano i simboli, si incendia la memoria fino a cenere, ma i simboli risorgono, come la Fenice dalle ceneri.
Perché i simboli sono lessico irrinunciabile dell’uomo.
Non si vive senza simboli, senza quel che unisce ciò che l’uomo, non il dio, ha separato.
Per stare bene, una società, che sia di individui o di cellule, ha bisogno di sacro.
Sacro è altro dalla spiritualità. Sacro è segreto, spiritualità è esibita, pubblica, comunicata.
Sacro è il mistero che abita la vita, per fortuna, e che ci chiama, ci ammalia, ci rende migliori mentre ci lanciamo verso l’isola che non c’è, verso l’utopia di trovarlo.
Una insegnante in un film portoghese di qualche anno fa, arriva in un piccolo paese e prende servizio nella scuola. Come compito agli alunni, dà una ricerca su un luogo che, loro non lo sanno, in realtà non esiste. Giorni di ricerche, coinvolti anche i genitori, poi infine scoperto l’arcano. La città non esiste. Genitori che reclamano la follia della maestra e inneggiano alla sua sostituzione.
La razionalità decapita il pensiero libero, che magari ha ragioni maggiori del razionale, ma la maestra si difende in forma disarmante: “ non avete idea di quanti luoghi si trovino, cercandone uno che non esiste”.
Il valore dell’Utopia è preservare il ruolo che il mistero ha nel renderci migliori, forti, audaci, pionieri ed esploratori dell’ignoto. Stirpe di eroi, non di schiavi. Di dei e non di sovrani.
L’anima vuole il mistero e il sacro, diversamente si ammala.
I medici un tempo erano anche cerusici, ministri di quel sacro e di quel mistero che non possono essere disgiunti neppure dal corpo e dai suoi accidenti.
In Groenlandia c’è l’Izumatak: garante dello spazio sacro e uomo medicina.
Tommaso Moro non accettò l’Atto di supremazia del re sulla Chiesa in Inghilterra, non accettò di disconoscere il primato del Papa, il primato del sacro e questo gli valse la pena capitale.
Oggi non si tratta di scegliere tra un sovrano e un papa, ma tra alienazione e sacralità.
Apeiron in difesa del sacro, del mistero imprendibile che spinge a trascendersi e distillarsi ogni giorno come ricercatori della vita.
“Che egli creda all’impossibile affinchè l’impossibile accada.” Eraclito.
Solo chi ha creduto oltre il credibile ha compiuto l’opera, guadagnato il senso, lasciato una impronta, anche in quella stessa scienza che il sacro ha ucciso e che ora il sacro recupera.
Copernico, Galileo: scienza al servizio della libertà di trascendere il possibile, utopia che si realizza.
Notre Dame è bruciata, lasciando al fumo irrimediabilmente la sua struttura, ma vive una Notre Dame dentro ogni essere che si ricordi di visitare l’isola che non c’è: quella Notre Dame forse si può chiamare Anima.
Maurizio Grandi e Erica Poli