Le Nobili spoglie mortali di Giorgio Nelli

Sono qui davanti a Te, a quel che resta, chissà, dentro il sarcofago dove ti hanno infine condotta.

Ti contiene o almeno contiene le tue nobili spoglie mortali nel marmo scolpito per un tratto dal Bernini.

Mi sembra di sentirlo il peso del tuo sguardo su di me.

Sono venuto a San Pietro, per altre ragioni, e adesso sono in contatto con Te.

Ti faccio domande col pensiero, vorrei sapere di quei contesti e di quegli eventi: chissà come sarebbe nel tempo di adesso guardare la tua vita di mille anni fa… forse dopo molte altre vite in cui potresti esserti incarnata….

Sentirsi in intimità con i defunti è come uscire per un po’ dal tempo… saltare via gli intermediari storici, immaginare che Tu mi possa parlare in prima persona.

Quale sarebbe la Tua verità? Non quella di chi ti ha narrata, quella del cuore che ha battuto nel tuo corpo.

Guardo il tuo ritratto, il tuo volto, ti immagino seduta accanto a me, qui alla mia sinistra.

Magari saresti grata di poter raccontare, magari non potresti rinunciare alla chiusura del tuo rango.

Svuoto la mente e sono a tua disposizione… come una preghiera, vorrei che arrivasse dal cielo.

Ti guardo ancora, ritratta, e non posso fare a meno di notare il tuo grado di nobiltà, i costumi, gli atteggiamenti che per tanto tempo avrai adottato fino a farli entrare nelle ossa.

Ti elevi sopra di me, da quella immagine, fluttuando sopra la mia testa con il diritto che ti compete per stirpe.

Ma oltre la stirpe, e il nome e il feudo, cosa avrai covato nell’intimo di Te stessa?

Dove, sotto mentite spoglie, il tuo cuore di donna avrà battuto e vissuto forse soltanto spiragli d’amore perché per nobiltà d’animo e di casata non ti sei mai concessa di respirarlo.

Hai pianto molto o poco nella tua nobile esistenza? Forse più da giovane, dove il peso della tua eredità, dopo la morte di tuo padre, ha soffocato l’essere ciò che avresti voluto essere, naturalmente, come il pettirosso che accarezzavi bambina tra le mani grandi di quel padre chiamato il tiranno, che solo tu sapevi ammaliare con il fascino di chi senza sforzo doma i cavalli.

Non sapevi ancora che il dire di una donna, che saresti divenuta Tu, sarebbe valso per importanza o per dipendenza dal nome stesso che hai tenuto elevato per tutto il tempo del tuo trascorso dalla nascita ad ora.

Il potere che hai potuto manipolare ogni momento del tuo vissuto non ha forse nessun paragone con il potere che viene oggi spartito, senza nobiltà e senza ideale.

Il potere decisionale che hai avuto in tutta la vita, ti ha portato via tutta la vita: da donna carne a donna immagine devota a Dio, hai seminato chiese e monasteri ovunque, in tutto il territorio, prima che fosse chiamato, anche grazie a Te, italiano.

Hai saputo piegare i voleri altrui nello stesso modo in cui è stato piegato il tuo. 

Ribelle fin dalla nascita, hanno deciso altri come saresti dovuta essere e nel momento stesso in cui sei stata trasformata in quello che hanno voluto che fossi, sei diventata incorruttibile, potentissima, allo stesso tempo una donna intelligente, raffinata, diplomatica e terribilmente strategica. 

Il tuo senso della vita, come emerge da quel che lasci e quel che è scritto e dipinto di te, ha avuto proprie sfaccettature che non hanno potuto ammettere scelte private, dedicate agli stati emotivi degni di una donna quale forse avresti voluto essere, ogni momento hai trasformato il tuo cuore nella pietra dei tuoi amati monasteri, unica sostanza in grado di sostenere tutto il peso della tua immagine, emblema di quello che era giusto agli occhi del Dio di allora, potere della chiesa e diverso forse dal Dio che conosce l’anima.

In te il potere di vita e di morte, riconosciuto per diritto di possederlo, potere di umiliare, di redarguire, di essere esempio: non ti ha corrotta dentro, solo elevata ad un diritto di vita e di contesto che possedevi solo tu, e che tutt’ora mi sembra di sentire, mentre immagino le moltitudini vite che potresti aver cavalcato nella spirale che chiamiamo tempo.

Chissà se il potere ti è piaciuto ogni istante o ti è pesato.

Chissà come è stato essere donna ed eroe.

Se ne avessi la possibilità ora cederesti il potere come eredità? Ma quale donna oggi saprebbe sostenerlo come l’hai sostenuto tu?

Quale donna che aspira al successo per il mondo sarebbe la possibile candidata per ereditare tale forza e tale prestigio?

Mi scopro a pensare al paradosso che vi fosse più libertà femminile allora… dove il limite di genere poteva almeno essere travalicato da chi ne avesse il potere.

Una donna immagine di Dio, almeno.

Piuttosto che una donna immagine del denaro, imbellettata da una cosmesi di finta giovinezza che la rende solo donna mascherata di una certezza plastica di cui è infine succube.

Come immaginare oggi di poter sostenere il peso di una azione che potrebbe cambiare in modo definitivo il corso della storia o le sorti del mondo?

Siamo nell’era del femminile che ha potere per diritto di nascita, per il solo essere donna, ma chi dei maschi sarebbe disposto ad inginocchiarsi realmente, vivere l’umiliazione, essere perdonato?

Forse l’Imperatore lo fece solo per interesse, ma i suoi piedi nudi nel gelo ci rimasero per davvero.

Mi chiedo come guardi le donne di oggi, il potere sensuale che tu hai per tutta la vita vissuto, patito e sublimato.

Donne in ansia perché non trovano l’uomo della loro vita, donne che crescono uomini che si comporteranno con le loro figlie allo stesso modo di quelli che hanno fatto soffrire loro.

Non sei stata protagonista di matrimoni d’amore, non hai goduto di un talamo felice, ma il potere della donna lo hai incarnato, paladina di un potere antico che oggi sembra più sedato e addormentato di allora.

Ancora una volta il tuo sepolcro qui davanti a me, il tuo ritratto sopra di me.

Una preghiera… che la catena che separò il femminile tra l’amore e il potere, tra la dipendenza e l’autonomia, tra la famiglia con i suoi legami e la solitudine con la sua libertà, possa essere spezzata.

Io mi inginocchio: questa volta non un perdono, un gentile omaggio.

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