Cosa significa incontrare Monteverdi oggi?

Significa avere qualcuno dietro le spalle che ha saputo solcare la storia, avendo fiducia nel proprio talento e nella propria unicità, al di là di ostacoli e critiche. E così tenerne a mente la lezione. E, da musicista quale sono, significa sentire il suo sprone nel ricordare che la musica è prima di tutto un veicolo importante per esprimere le emozioni. Ma cosa ha reso Claudio Monteverdi un essere così speciale?  Provo a rispondere da musicista (così me ne sono innamorata).

Con il suo genio, Monteverdi ha dato una svolta importante alla maniera di concepire la musica rompendo gli schemi fino ad allora validi ed intoccabili perpetuati da alcuni compositori coevi che lo criticavano per questo, primo fra tutti l’Artusi che pubblicò un’aspra polemica contro le sue tendenze progressiste, in un ambiente musicale che richiedeva il rispetto delle regole prescritte e inamovibili in fatto di composizione musicale.

Monteverdi non aveva per genitori due musicisti, ma due persone capaci di assecondare la sua inclinazione se pure diversa da quella che dava lustro alla famiglia. Il padre, infatti, era medico ma non esitò, assieme a sua moglie, Maddalena Zignani, ad assecondare il figlio nel desiderio di avvicinarsi allo studio della musica ancora giovanissimo e poi, viste le spiccate attitudini, ad affidarlo alle cure del grande musicista Marco Antonio Ingegneri, maestro di cappella nella cattedrale di Cremona.

Talento e passione per lo studio, gli permisero dai quindici anni in poi di veder pubblicate le sue raccolte di madrigali e canzonette. A venti anni Gardano e Amadio, importanti stampatori veneziani, pubblicarono il primo dei sei libri di madrigali e da quel momento la sua fama iniziò a volare oltre i confini del suo piccolo mondo.

C’è da sottolineare che in quegli anni (seconda metà del ‘500) la stampa era ancora molto costosa e gli editori più famosi si guardavano bene dal pubblicare cose di poco conto, soprattutto in musica, visto l’impegno sia economico che di prestigio che dovevano sostenere. La stampa aveva importato dalla Francia il sistema tipografico che permetteva di imprimere simultaneamente rigo musicale e note; questo sistema aveva dato una svolta in positivo al mondo degli editori, pur sempre in considerazione dei costi relativi alla carta, al tempo impiegato per stampare diversi libri contesto letterario e musica. La pubblicazione di un lavoro musicale costituiva, quindi, già di per sé un riconoscimento e poneva una lente d’ingrandimento sulla figura del compositore. Nel nostro caso il giovane Monteverdi. La fama era ormai conquistata.

Ed ecco che alla corte dei Gonzaga di Mantova Monteverdi fu presto assunto come suonatore di viola, cantore e compositore, ragione per cui il suo impegno divenne sempre più pressante dovendo essere presente nelle diverse vesti di strumentista, cantore e compositore sia nella vita privata che in quella pubblica di corte.  Dalle sue lettere, si evince l’ansia di raggiungere una posizione a corte che conferisse il dovuto riconoscimento economico al suo ingegno di musicista eclettico in quanto capace di cimentarsi nella composizione di musica sacra e profana, donando ad entrambe la sua ispirazione originale e fortemente innovativa. Ma si sa che a quel tempo i musicisti, anche coloro che avevano raggiunto fama e notorietà a corte, erano annoverati nell’elenco della servitù.

Alla corte dei Gonzaga avviene la prima rappresentazione della Favola in musica “L’Orfeo” nel 1607, su libretto di A. Striggio. Qui Monteverdi esprime tutto il suo talento musicale stravolgendo le ferree regole compositive che avevano fatto da guida ai musicisti coevi e allo stesso Monteverdi durante i primi approcci alla tecnica compositiva.

Monteverdi vuole condurre in parallelo parole e musica per dare piena libertà all’espressività emotiva. In questa rappresentazione teatrale la Musica è il personaggio al quale è affidato il compito di introdurre l’argomento e invitare gli spettatori al silenzio. Questo personaggio non apparirà più nel corso dell’opera in quanto figura rappresentativa, ma sarà sempre presente nel significato intrinseco dell’opera. Il racconto si riferisce al mito greco di Orfeo, semidio figlio di Apollo che sta per sposare la sua amata Euridice. Nel giorno delle nozze, mentre tutti sono impegnati in canti e suoni e soprattutto Orfeo con la sua lira donatagli da Apollo, una messaggera annuncia la morte di Euridice a causa del morso  di un serpente velenoso mentre era intenta a cogliere i fiori per adornarsi. Il canto della messaggera è pieno di dolcezza al ricordo della giovane Euridice e doloroso per l’evento tragico e per dover fare da messaggera ad Orfeo straziato dal dolore.

Orfeo decide di andare a riprendere il suo amore negli inferi portando con sé soltanto la sua lira per accompagnare il canto che dovrà aprirgli le porte del freddo luogo e aiutarlo a convincere Plutone e Proserpina a restituirgli Euridice. Ecco che la Musica è ancora il personaggio principale dell’opera con il compito di vivere insieme al protagonista le emozioni, le aspettative ed anche il dolore.

Il suo canto è amore, è fiducia, è forza, e la lira, la sua fedele compagna di viaggio.

Orfeo riuscirà a riprendere Euridice ma non a mantenere il patto che lo obbliga a non voltarsi indietro per guardarla, quindi Euridice viene risucchiata dalle forze oscure fra pianto e disperazione. Ma ancora la musica è dalla sua parte. Orfeo canta il suo dolore e la Eco, figura pietosa, ripete i suoi lamentosi canti, finché Apollo, impietosito, porta con sé il figlio cantore in cielo, dove potrà continuare a sognare Euridice nella ritrovata pace.

La rappresentazione ha un successo forse superiore alle aspettative e ancora oggi ha la forza di richiamare numeroso pubblico sia in Italia che in altri Paesi.

Ed ecco l’importanza dell’incontro con Monteverdi oggi. E non solo per gli addetti ai lavori, ma per tutti coloro che temono di accogliere le emozioni e di viverle nel più profondo dell’anima. Lo spettatore che si accinge ad ascoltare musica monteverdiana non può esimersi dalla partecipazione emotiva anche se indesiderata. La musica sa quale via deve percorrere per arrivare!

Finalmente, dopo anni di attesa, e importanti e apprezzate pubblicazioni e rappresentazioni dentro e al di fuori del palazzo ducale di Mantova, arriva la nomina a “ Maestro di cappella” della Serenissima Repubblica di Venezia. Un posto molto ambito e di grande prestigio; un incarico che gli consente di avere collaboratori da lui scelti quali Alessandro Grandi, Alessandro Negri, Giovanni Rovetta, e di essere affrancato dal servizio liturgico-musicale quotidiano, tranne nelle occasioni di feste, solennità religiose e occasioni ufficiali nella vita della Repubblica.

Questo nuovo incarico, oltre al riconoscimento dei suoi meriti, gli dà la possibilità di dedicarsi con serenità alla scrittura della musica sacra e alla composizione teatrale con le due opere rimaste uniche del periodo veneziano: “Il ritorno di Ulisse in patria” e “L’incoronazione di Poppea”. Opere in cui le rispettive trame risentono di vaghe allusioni alla società del tempo e in cui la musica e il canto sono ormai un tutt’uno con il testo letterario e con il compito, non solo di esprimere ma anche di rendere emotivamente raggiungibile il messaggio che si vuole palesare. Poco dopo la rappresentazione dell’Incoronazione di Poppea, nel 1643 Monteverdi lascia questo mondo, ma la sua essenza di musicista rimane nei secoli come un dono.

Anche l’uomo che è stato, il suo coraggio, la sua pervicacia costituiscono un punto di riferimento. Rimasto vedovo ancora giovane e padre di tre figli, Monteverdi dovette affrontare non poche difficoltà per sbarcare il lunario.  Significativi a questo proposito due stralci tratti da una lettera inviata ad Annibale Chieppo, segretario del duca di Mantova, in risposta alla richiesta da parte del duca di tornare a Mantova.

“…se mi ha fatto favore in farmi avere occasioni tante e tante di essere adimandato da S.A.S. mi ha anco fatto questo danno, che il Sig Duca sempre m’ha parlato per faticarmi, et non mai per portarmi qualche allegrezza d’utile…” e ancora: “l’anno passato a Mantova per le fatiche delle nozze mi promise dico quello che V.S. Ill.ma può vedere in questa sua che l’invio, et poi alla fine nulla è stato e se pure ho ahuto, ho ahuto mille et cinquecento versi da mettere in musica…”.

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