Suo padre, l’abete rosso, mentre è impegnato a controllare la propria crescita attraverso gli anelli che si formano anno dopo anno, aiutandolo a svettare verso il cielo, già si prepara al canto, respirando a pieni polmoni l’aria di quella “Magnifica Val di Fiemme”. E quel canto risuona dentro di sé, tanto da diventare soave, profondo, avvolgente.
Svegliarsi ogni giorno a quel suono è meraviglioso, gratificante, ma un bel giorno sente di voler condividere questo dono con altri che non siano abeti come lui, pensa: “ come sarebbe bello far gioire tante persone in ogni parte del mondo con il proprio suono!”. E canta e pensa, e pensa e canta… infine, ecco la soluzione che forse costerà un po’ di sacrificio: “ma, ne vale ben la pena”, riflette fra sé e sé. Ne parla con i suoi fratelli, i quali cercano di dissuaderlo: “ma sei proprio sicuro di volere questo? Mandare i tuoi tronchi tagliati in altri luoghi che non conosci, affidati a mani estranee che forse non comprenderanno neanche la tua rinuncia.”
“Si, ho deciso, d’altronde quando i figli cominciano a diventare adulti, bisogna lasciarli andare, sono certo che torneranno un giorno, magari in altre forme, ma che importa, purché siano felici ed abbiano portato in giro un po’ di gioia e di amore attraverso il loro suono” “Va bene, se hai proprio deciso…noi ti aiuteremo ad incontrare la persona giusta che potrà aprirti la strada per realizzare il tuo progetto.”
“Un certo Stradivari… Antonio che costruisce violini, gira sempre da queste parti. Si ferma accanto a noi abeti, si avvicina, batte con un’asticella di legno, avvicina l’orecchio, ascolta in rispettoso silenzio la vibrazione che ne sgorga e se ne va. Forse non ha ancora sentito la vibrazione che cercava per i suoi violini; la prossima volta che verrà a girovagare nel bosco cerca di attirarlo con il tuo suono e vedrai che il tuo desiderio sarà esaudito.”
…E così il tronco dell’Abete dal canto soave si ritrovò tagliato in bellissime tavole pronte per essere trasformate in violini, nella bottega del Maestro liutaio Antonio Stradivari.
Perché ancora oggi questo nome suscita curiosità, deferenza e ammirazione? Eppure l’Italia ha conosciuto altri grandi liutai, cominciando dal suo maestro Nicola Amati (1596-1737) e da un altro allievo Andrea Guarneri (1626-1698), il nipote del quale Giuseppe Guarneri (1698-1744) è tutt’ora conosciuto come “Guarnieri del Gesù per il monogramma IHS, che usava per le sue etichette da apporre all’interno dei violini.
Gli studi e le ipotesi sulla genialità di Stradivari si sono avvicendati sin dal secolo successivo alla sua morte. Esistono molte pubblicazioni al riguardo nelle varie biblioteche, e tutte ugualmente interessanti. Le caratteristiche che accomunano gli scritti sul Maestro liutaio sono le simiglianze in fatto di biografia e l’ammirazione che traspare dalla descrizione di ogni dettaglio che possa descrivere la sua arte.
E’ particolare il titolo di un libretto pubblicato nel 1937 da Renzo Bacchetta, libraio e studioso della liuteria italiana: “Stradivari non è nato nel 1644” e come sottotitolo. “Vita e opere del celebre liutaro” (Soc.Editoriale “Cremona Nuova” – Cremona 1937 – XV).
Il titolo, si riferisce alla mancanza di notizie precise sui genitori di Stradivari e mancando anche il nome di Antonio Stradivari negli elenchi dei registri parrocchiali consultati dai vari ricercatori e studiosi, la data di nascita è stata desunta dalle etichette interne degli strumenti e dai carteggi che lo riguardano. Sta di fatto che il Bacchetta, consultando l’inventario di un grande collezionista coevo, il conte Cozio di Salabue da Monferrato, si è accorto di una manomissione su un’etichetta posta all’interno di un violino (la documentazione è riportata nel suo libro), quindi, dopo aver consultato lo Stato d’Anime (il censimento) redatto dal Parroco e aggiornato dallo stesso di anno in anno, ha considerato errata la data di nascita accreditata fino ad allora, spostandola tre anni ca. in avanti. Nello Stato d’Anime del 1682 Stradivari risulta di anni 33, considerando il 4 luglio 1667 come data esatta per il matrimonio con Francesca Feraboschi, si deduce che Stradivari all’epoca avesse soltanto 18 anni mentre sappiamo che la moglie, vedova, aveva un decennio più di lui. Ma il contributo di Lorenzo Bacchetta non si ferma qui, ha sempre continuato a portare avanti le sue ricerche, molte delle quali sono parte del libro di cui si parla, come gli scambi epistolari per la vendita di uno o più strumenti da lui realizzati.
In un manoscritto conservato nella Biblioteca Governativa di Cremona si conserva una lettera indirizzata a Stradivari da Padre Desiderio Arisi, monaco gerolamino. Ecco il testo riportato dal Bacchetta:
“ Mio caro amico et eccellentissimo maestro in ogni sorta di strumenti da musica di cui non resta fuori di proposito ch’io ne favelli molto più perché alla preziosità e finezza de’ suoi stromenti, aggiunge nobiltà e vaghezza coll’adornargli con intrecci non solo tinti di nero, ma ne imprime ancora d’ebano, ed avorio gentilmente lavorati e contornai con bizzarria, cose degne di que’ gran Personaggi a’ quali sono presentate.” Da questa lettera si apprendono molti dettagli che ci danno appena l’idea di quale bellezza estetica oltre che sonora potessero esprimere gli strumenti del grande liutaio. Da questi scambi epistolari, per fortuna giunti fino a noi, si possono cucire tanti pezzi di storia del maestro liutaio, come la richiesta del banchiere Monti che commissiona “tutto il concerto de’ violini e violoncelli” per mandarli in dono a Re Giacomo d’Inghilterra.
Il 12 marzo 1685, il cardinale Orsini arcivescovo di Benevento, gli commissiona un violoncello e due violini per mandarli in dono al duca di Natalona in Spagna che fu talmente soddisfatto della bellezza e della bontà degli stromenti, da inviare all’artefice, unitamente al prezzo convenuto, una “patente di suo familiare”. E non meno soddisfatto fu il
Regnante di Modena che, oltre al pagamento stabilito, gli donò trenta doppie. E le commissioni si susseguono, da tutta Europa.
Il 10 giugno 1715, arrivò a Cremona G. B. Voleme di Dresda, maestro de’ concerti di musica del Re di Polonia, appositamente inviato dal suo signore per acquistare dodici violini.
E Stradivari continuò a lavorare ininterrottamente anche dopo la morte della moglie dalla quale aveva avuto cinque figli ed altri cinque li ebbe dalla seconda moglie che morì circa nove mesi prima di lui, nel 1737.
Stradivari, in tutta la sua vita di liutaio, trascorsa sempre a Cremona, non si stancò mai di migliorare la fattura e l’acustica dei suoi strumenti, sempre sperimentando nuovi livelli di spessore per le tavole, e dei fondi con assottigliature verso i bordi e ne si stancò di “inventare” nuovi ornamenti per il riccio, per le fasce, e anche per tastiera e cordiera. E veniamo alla vernice, così tanto discussa ancora oggi, di un bel colore giallognolo-rossiccio; ma, lasciamo ad altri il dibattimento sulla importanza della sua composizione, congedandoci dal benemerito Lorenzo Giacchetta e lasciando spazio al Maestro Michelangelo Abbado, violinista e compositore (1900-1979), capostipite di una famiglia di musicisti, che ha curato la voce nell’Enciclopedia Italiana Treccani.
Così viene descritto Antonio Stradivari nelle pagine a lui dedicate dall’Enciclopedia Italiana Treccani del 1936:
“Liutaio, nato verso la fine del 1643, probabilmente in un villaggio prossimo a Cremona. A Cremona lo S. venne giovinetto, e fu allievo di Nicola Amati, nel laboratorio del quale è presumibile sia rimasto almeno fino al 1680. In quest’anno comprò una casa in piazza San Domenico (oggi piazza Roma), e vi lavorò fino alla morte, avvenuta il 18 Dicembre 1737.”
E continua una descrizione accurata del suo lavoro geniale di liutaio, alle quali parole ancora oggi si può aggiungere solo qualche dettaglio.
“…Facendo tesoro delle gloriose tradizioni di due scuole, la bresciana e la cremonese, e valendosi del consiglio dei violinisti contemporanei, egli, nel corso di oltre 75 anni, ha continuamente elaborato i principii della propria arte, anche con l’aiuto di un’eccezionale sensibilità visiva e di una rara prontezza manuale” …”Sì che dai suoi strumenti, specie dai violini e dai violoncelli, scaturì una voce di bellezza incomparabile, che li rese preferiti da tutti i concertisti. Merito di molti coefficienti: dimensioni generali, spessori e convessità della tavola e del fondo, qualità del legno; ma soprattutto merito della vernice. Probabilmente la sua vernice non differiva, nella composizione, da quella usata dagli altri liutai del tempo: resine sciolte nell’olio e unite a sostanze coloranti. La particolarità consisteva nella maniera di dosare questi ingredienti, di manipolarli e di distenderli sullo strumento, in modo da ottenere una pasta leggera e trasparente, dal colorito dolce e brillante. Il tempo poi vi ha steso una patina, che invano si cercherebbe in uno strumento appena costruito.
Lo S. iniziava la costruzione di uno strumento fissandone i contorni esterni con appositi stampi di legno, di cui si sono trovati 19 esemplari. Per il fondo, le fasce, il riccio, la tastiera e il ponticello preferiva l’acero, tagliato secondo la fibra o a cuneo: acero indigeno, di scarso valore, nei primi e negli ultimi strumenti, acero proveniente dalla Dalmazia o dalla Croazia, di ottima qualità, negli strumenti migliori, Per il fondo dei violoncelli usava talvolta il pioppo e il tiglio. La tavola invece è invariabilmente di abete, di due pezzi nei violini e nelle viole, di quattro in alcuni violoncelli. Le parti interne sono di Salice.” “…Riprendendo un’antica consuetudine lo S., abilissimo disegnatore, ornò il riccio, le fasce, la tastiera e la cordiera di alcuni preziosi strumenti, come quelli quintetti destinati a Cosimo de’ Medici e a Filippo V, con intarsi di madreperla, o di avorio ed ebano o mastice nero.”
Questa voce, redatta con estrema cura e sapienza, porta la firma di Michelangelo Abbado padre, capostipite di una famiglia di musicisti, grande violinista, e storico della musica (1900 – 1979).
Il “segreto” della vernice usata da Stradivari per i suoi violini, ha da sempre interessato studiosi e curiosi di tutto il mondo, ma non si è mai giunti ad una scoperta “sensazionale” che permettesse di trovare la ricetta segreta con gli ingredienti da lui usati per comporre questa famosa vernice. In effetti andando ad approfondire la vita e le opere del “maestro liutaro”, attraverso gli scritti di studiosi che hanno riportato documenti autentici, non si trovano allusioni specifiche riguardo alla formulazione della vernice. Quindi si potrebbe sposare la tesi espressa da Michelangelo Abbado, che non attribuisce agli ingredienti usati per la preparazione della vernice, bensì alla sua maestria nel legarli insieme.
Ma, la curiosità nel sapere è maestra di vita, per cui a tutt’oggi continuano le ricerche per saperne di più sulla composizione delle vernici usate da Stradivari.
Ho estratto i risultati di una delle più recenti pubblicazioni annunciata dal “Il Sole 24 ore” nel febbraio 2009.
“…dopo 33 anni di ricerche, Joseph Nagyvary, dell’Università del Texas, ha scoperto che il suono meraviglioso degli Stradivari dipenderebbe dal trattamento antitarlo del legno – Un mix di sostanze, fra cui borace, fluoruro, cromo e Sali di ferro – che ha interagito con il legno e gli avrebbe conferito il suono ineguagliabile.”
Nagyvary , biochimico, ha studiato il violino su uno strumento appartenuto ad Einstein e, dopo aver sperimentato in prima persona l’emozione di entrare in risonanza con uno strumento tenuto a stretto contatto con il proprio corpo, decide di saperne di più, soprattutto delle vernici usate dagli antichi maestri liutai, con particolare attenzione a quelle usate da Stradivari. Dopo essersi procurato alcune schegge di legno, residui di lavoro di restauro su violini Guarnieri del Gesù e Stradivari, insieme ai suoi collaboratori, decide di bruciarle per analizzarne le ceneri, dalle quali sono poi emerse sostanze fra cui borace, fluoruro, cromo e Sali di ferro. “Il borace”, spiega, “era conosciuto già dagli Egizi che lo usavano per la mummificazione in qualità di conservante, quindi è attinente l’impiego che ne hanno fatto i due liutai usandolo come protettivo contro le minacce dei tarli.”
La conclusione a cui è giunto Nagyvary è che :“vi è stato un effetto collaterale” in quanto le sostanze avrebbero: ”influenzato le proprietà meccaniche e acustiche del legno, conferendo agli strumenti un suono senza eguali”.
A questo punto, in attesa di altre notizie interessanti, non si può fare altro che chiudere gli occhi e immaginare il Maestro nella sua piena maturità mentre seduto al bancone di lavoro nella sua bottega, esamina con cura ed profonda riflessione uno strumento sul quale sta lavorando mentre la campana della vicina San Domenico suona l’ora del Vespro.