Speciale Krishnamurti al Castel di Pergine :
Educare al mestiere di Vivere 16-17-18 settembre 2016
Convegno sull’Educazione Evolutiva

Il Paese dell’Educazione di Tommaso Clemente

 

corbucci“Educare ad essere bambini”
di Matteo Corbucci

Ogni bambino è un uomo, ogni uomo è un bambino.

Parlare di bambini non significa solamente occuparsi di genitorialità, di famiglie o di professionisti che lavorano a contatto con l’infanzia: significa discutere della natura umana nel modo più autentico e completo. Il mondo del bambino rappresenta, infatti, la realtà in cui maggiormente e felicemente si incontrano la scienza e la poesia, la conoscenza e la spiritualità, la realtà e l’immaginazione. Discutere seriamente di infanzia ha un potere rivoluzionario e trasformativo sulla nostra esistenza perché significa ricercare il fondamento del nostro essere. Questo ci consente di rispondere alle domande capitali “Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?”, non solo con un approccio estremamente concreto, ma persino in un modo gaio: pieni di curiosità e di meraviglia.

Nella nostra lettura adultocentrica della vita con tutta la sua complessità, le reali potenzialità della specie umana restano sconosciute. Parlare dei bambini piccoli, invece, può avviare un cambiamento nella nostra consapevolezza per la costruzione di una nuova cultura fondata su valori condivisi. Il dibattito sull’educazione, infatti, non solo ci aiuta a riconoscere una sorprendente e fondamentale epoca costruttiva della vita, ma anche a identificarla come sorgente di un sacro patrimonio di qualità fondamentali, da conservare e promuovere per tutta la vita.

Negli insegnamenti di due grandi educatori, Jiddu Krishnamurti e Maria Montessori, troviamo lo sprone a una riflessione compiuta e profonda sull’educazione olistica (l’unica che, alla luce di numerose evidenze scientifiche, possiamo intendere come una vera promozione della vita). Infatti, una conoscenza reale dei bambini apre la strada a una rivoluzione circa le nostre idee sulla crescita e sull’apprendimento: che non si arrestano in un punto determinato, ma che durano e si sviluppano per tutta la vita.

La caratteristica più importante della nostra specie è, infatti, l’educabilità. Nei rapporti educativi e di cura, rappresentati, emblematicamente, dalla relazione tra adulto e bambino, ritroviamo la rivelazione delle potenzialità della nostra natura: che è quella di esseri capaci di amare e portatori di potenzialità in continuo sviluppo e rinnovamento. Nei rapporti di accudimento, all’interno di relazioni significative che favoriscono la crescita reciproca, si ritrova, evidentemente, anche il nucleo costitutivo della comunità umana: che si configura, in potenza, come realtà pacifica e tesa fortemente alla cooperazione, alla condivisione e al mutuo aiuto.

Discutendo dell’origine dell’umanità e delle caratteristiche che riteniamo preziose e geniali in un individuo adulto, si afferma un nuovo rapporto tra i ruoli che arbitrariamente attribuiamo alle epoche della vita con il fine di ricongiungerle in un unico percorso di senso. L’affermazione che racchiude il nucleo dell’intervento: “Ogni bambino è un uomo, ogni uomo è un bambino” indica come ogni bambino sia a tutti gli effetti una persona, degna di rispetto e di riconoscimento e di un’adeguata risposta ai suoi bisogni, ma, allo stesso tempo, afferma quanto fortemente l’adulto affondi le radici del suo essere nella lunga infanzia che caratterizza buona parte della sua vita. Educare ad essere bambini significa, quindi, educare ad essere umani: adulto e bambino sono uniti in una circolarità che non si può spezzare, che ha enormi implicazioni, e che può davvero costituire la speranza di riscatto e salvezza per il destino del genere umano.

Cercando di recuperare non solo il significato più profondo ma anche il senso attuale e pratico di concetti quali: l’accoglienza, la responsabilità, la cura, l’amore, la libertà, l’educazione – dal punto di vista del dibattito pedagogico – prendiamo in considerazione una realtà piccola ma elevata: il lavoro quotidiano di un educatore per la prima infanzia in asilo nido. Questa figura maschile, impiegata in un servizio educativo, rompe con ipocrisie e pregiudizi di una tradizione millenaria e guarda oltre la ripetizione acritica di sistemi e di metodi alla ricerca di una relazione educativa autentica tra adulto e bambino. Il coinvolgimento che il lavoro educativo e di cura richiedono, che implicano una presenza umana che mette in gioco la globalità dell’essere, ci fa scoprire quel lavoro continuo di ricerca e autoeducazione che, portato avanti da adulti, può riconnettere l’individuo con l’essenza profonda della sua umanità e renderlo un individuo integro, libero e creativo, e quindi un naturale alleato al fianco dell’infanzia.

Accoglienza

C’è qualcosa di meraviglioso che ci accade quando siamo in contatto con i bambini. Qualcosa che succede inevitabilmente se il sentimento che proviamo non è superficiale, ma si tinge di affetto e di sincera vicinanza: se teniamo davvero a proteggere e a promuovere il loro sviluppo. È il fatto di poterci interrogare riguardo la vita e il suo mistero senza paura, ma con un senso di curiosità e di meraviglia. Anche le grandi, angosciose domande esistenziali vengono viste, allora, da un’altra affascinante prospettiva. La nostra urgenza di una salvezza individuale, infatti, non è inevitabile e non ci è sempre appartenuta: abbiamo vissuto un tempo in cui ricercare nell’esistente non era terrore, ma stupore e aveva tutto un altro significato. È vero: il domandare è qualcosa che ci accomuna tutti, un tratto caratterizzante del nostro essere umani: anche il bambino fin dai primi istanti di vita – proprio durante il grandioso sforzo di ambientamento in una nuova realtà – è un essere che vuole conoscere e desideroso di imparare. Egli, in verità, ne ha una necessità vitale – ne va della sua sopravvivenza – e, successivamente, attraverso il gioco, egli trarrà da questo conoscere un intimo piacere e un fondamentale nutrimento per la sua mente. Ma tutto comincia con una domanda. In una sacra solitudine interiore, ancora prima della coscienza, avviene questo movimento solenne che mette in relazione con l’altro, con il mondo, e ci rende parte di esso, affinché gli sia attribuito un senso. La realtà del bambino ci insegna che il mistero ha la sua solennità, ma anche la sua grazia e bellezza, che si rivela anche nel piccolo: in piccoli luoghi, in piccoli obiettivi, in piccoli conquiste: che sono grandi miracoli. Ci si avvicina ad essa dolcemente, con tenerezza e con stupore; per lanciare uno sguardo nel silenzio e nel segreto di un’opera mirabile e laboriosa che costruisce l’uomo.

Fin dal principio, c’è un incontro con l’ignoto che deve avvenire come necessità di vita: lo straniero, lo sconosciuto è quella componente che arricchirà la nostra esperienza e ne farà un avventura realmente umana. Non saremo più gli stessi, ne saremo trasformati nel modo in cui tutti necessitiamo per rivelare le nostre potenzialità; questo è il percorso del crescere. Il bambino non teme mai, neppure quando è neonato, di conoscere l’altro, di incontrare il mondo; con i suoi tempi e modalità personalissime, creativamente – a volte proteggendosi impaurito, a volte avventurandosi audace – egli se ne approprierà pian piano, ma decisamente: in un processo che non si arresta. Avviato su questo cammino di autonomia, egli mostra lo splendido esito a cui è destinato un essere umano: una vita di fiducia, di amore, di fratellanza. Ce lo mostra la realtà del cosiddetto “parto dolce”: un bambino viene dato al mondo in modo naturale, come un dono fatto a lui e agli altri che partecipano alla sua venuta; un uomo nuovo che nasce senza violenza, una nuova creatura d’amare che è arrivata da chissà dove, ma senza soffrire. Il resto del mondo la scopre, quando è ormai qui: con la sua presenza umana che reclama il suo spazio: il pianeta è anche suo ora, ma, in realtà, lo è sempre stato. Egli nasce, ma anche noi nasciamo un’altra volta perché rispetto a lui saremo altri individui, ci scopriremo un altro po’ nell’attualità, ci sorprenderemo; forse evolveremo in una maturità, comunque, ci rinnoveremo nel momento in cui ci guarderà in modo innocente, per la prima volta. Egli giunge quando è il tempo e, se accolto con benevolenza, sorride. Non conoscendo, non sapendo: né dove, né come, né perché, o forse sì. Però sorride, e il suo volto nuovo è un paradiso di beatitudine. Quale migliore dimostrazione di fiducia in noi e verso questo mondo che sarà la sua casa? Quale gesto di speranza più grande verso l’immenso universo è possibile? Egli sorride fin dal primissimo istante. Qui inizia la nostra responsabilità di accogliere e di non tradire la promessa di una felicità inevitabile che egli porta con sé.

Nel cercare di essere educatori efficaci, ma soprattutto autentici, è giusto interrogarci sulla realtà che raccontiamo ai bambini. Se non crediamo realmente in una natura buona e in un mondo costruito sull’armonia e destinato alla felicità, fingere di farlo sarebbe stato solo una menzogna. È bene, invece, prenderci del tempo per osservare la realtà dei bambini, perché la loro vita spontanea e gaia può ispirarci nuovamente a cercare la nostra personale meraviglia. Può farci sentire che non è il caso di arrendersi a una spiegazione comune, ma di guardare oltre le convenzioni e la tradizione per guardare e riscoprire in noi un uomo che non ha paura: ma nutre speranza e fiducia, lungo tutto il corso di tutta la sua vita.

 
14433198_1145214615544741_7018579713923620283_n“Educare alla Medicina”
di Maurizio Grandi

Guérir parfois, soulager souvent, consoler toujours.
Chi è nato e cresciuto tra gli anni cinquanta e sessanta e ha vissuto l’erosione e la fine dell’universo  tradizionale è a cavallo tra due età ,due mondi, due civiltà.

Siamo Testimoni di eventi unici, epocali, irripetibili, del polverizzarsi e frantumarsi di una civiltà, del nascere della nuova.

Nella lingua di Ippocrate il termine krisis indica il momento conclusivo della raccolta del grano maturo ,il momento culminante di un evento vitale come la mietitura , come l’adolescenza,  la  “crisi puberale”, premessa di giovinezza e di una maturità consapevole e responsabile.

Nella società in cui viviamo il termine  “crisi”si coniuga  al negativo:
crisi della finanza, crisi dell’economia, crisi del lavoro, crisi della politica, crisi dell’etica.

Nel mondo socio-sanitario la crisi si collega alla tecnologia sempre più approfondita alla realtà fisiopatologica della malattia, comportante un distanziamento relazionale crescente dalla realtà umana e sociale dei singoli malati. Il trionfo della tecnomedicina, con i suoi benefici a vantaggio dell’umanità, determina, accanto alla fiducia  di molti, l’insoddisfazione di quanti ritengono

che ,oggi, la medicina  ha acquistato in tecnologia quel che ha perduto in umanità relazionale.

E’ in atto la trasformazione antropologia.

La tecnologia e’ davvero scienza? La medicina è davvero scienza?

Scienza e tecnologia non sono sinonimi.
La prima tenta di decifrare la complessità del reale,la seconda è un mezzo che  tende ad autoalimentarsi, a comportarsi come se disponesse di una volontà autonoma, indipendente da quella degli esseri umani. E diventa a sua volta ,magia. Gli esseri umani la adoperano, ma nel momento stesso in cui viene impiegata retroagisce sull’uomo e  lo trasforma.
E’ la genesi di homo technologicus.
E’ il ritorno al desiderio di onniscienza che si traduce in pretesa di onnipotenza.
Desiderio di controllo:attraverso la tecnologia cerchiamo di arginare ,
sul piano psicologico ,qualcosa  al di fuori della nostra portata. E, in questa volontà di controllo, è tutta la nostra grandissima fragilità. Oggi il dubbio non è alla base del vero.
Nel mondo,salute e malattia sono contraddittori.
Mai c’è stata tanta salute nel mondo, mai tante Persone  hanno perso la Vita per malattie prevedibili e curabili.
In Italia, l’attesa di Vita è scesa e le proiezioni nei prossimi anni sono drammaticamente al ribasso.
La mortalità infantile per tumori in Italia è stata, lo scorso anno, la più alta d’Europa.
Il costo delle regioni è assorbito per oltre il 90% da spese per la salute.
In particolare malattie degenerative ed ambiente correlate. 
Giuseppe Altieri

L’autonomia del Medico è stata da sempre la prima garanzia per il malato di essere curato senza necessità, ma ha subito nel corso del tempo un continuo ridimensionamento, destinato ad accentuarsi.
Il Malato rischia di essere curato sempre meno  senza necessità, sempre più secondo compatibilità e il Medico di essere sempre più “amministrato”, cioè un “non medico”.
La professione liberale diventa professione dipendente, sempre più ad autonomia condizionata.
Lo Stato, alle prese con problemi finanziari,ha cominciato a includere tra le condizioni di lavoro
anche i modi economici delle prestazioni (sostenibilità, uso ottimale delle risorse, appropriatezza),
invadendo il campo della autonomia professionale.
Le modalità delle prestazioni richieste sono sempre più quelle che vuole lo Stato e sempre meno quelle che il Medico avrebbe il dovere di assicurare in “scienza e coscienza”.
In tempi di revisione della spesa bisogna risparmiare su tutto, in particolare in ambito sanitario: tornano le idee di Frederick Taylor (1856 – 1915).
«In passato l’uomo veniva per primo, in futuro per primo viene il sistema». The Principles of Scientific Management
La cura del paziente deve seguire standard analoghi a quelli delle fabbriche di auto.
La durata delle visite è misurata con il cronometro per stabilirne il tempo ottimale.
Per individuare “il modo migliore” di condurre questi incontri è stata introdotta una cartella clinica elettronica, punto di partenza per strutturare le visite:
le domande da porre al paziente sono previste rigidamente, impossibile procedere a colloqui liberi, come insegna la “medicina narrativa”, per ottenere notizie sullo stato psicologico e sul suo punto di vista quanto alla patologia, per stabilire una buona relazione tra medico e ammalato.
Lo sguardo, la relazione sono il metodo della conoscenza.
A partire dalla scoperta dei neuroni specchio si è compreso come l’intersoggettività non possa essere interamente ridotta all’esercizio di esplicite interpretazioni linguistiche del comportamento altrui, ma si fondi soprattutto su un accesso più diretto alle azioni ed esperienze espresse dagli individui con cui entriamo in relazione : un accesso che si basa sull’esercizio di una modalità fondamentale di relazione col mondo, la relazione empatica. Nel IX Canto del Paradiso, rivolgendosi all’anima beata di Folco da Marsiglia, Dante scrive : “Gia non attendere ‘ io tua dimanda, s’io m’intuassi, come tu t’inmii”. Dante svela l’empatia : empatizzare è comprendere l’altro dall’interno, come  suggerito dal termine tedesco  einfuhlung ( sentire dentro). Questo “intuarsi” implica per l’Io la possibilità di connettersi al Tu senza perdersi in esso, attribuendo all’altro azioni, emozioni e sensazioni che, tuttavia, l’Io conosce in quanto parte della propria esperienza vitale.
Togliere questa conoscenza è togliere la cultura umana in cui ognuno incomincia da quello che l’altro ha scoperto.
La malattia è momento di resistenza all’ordine costituito,idioma “legittimato” per esprimere il disagio, per mettere in scena la propria indignazione nei confronti dell’ordine sociale.
Il disagio somatico emerge come forma critica all’egemonia, come riposizionamento soggettivo rispetto al mondo sociale. Il venir meno dell’unità interna. Si perde la capacità di riconoscimento del sé e del legame del sé con gli altri nella loro unità.
Curare significa aiutare il malato a tornare ad un’unità compromessa dallo stato patologico, memoria del proprio vissuto individuale e collettivo.
Riproporre nella sua umiltà e grandezza “la scienza come ricerca della vita”.
Con la crisi diminuiscono gli italiani che si curano.
11 milioni gli italiani a causa di ticket sempre più alti e lunghe liste d’attesa, non si curano più,2.400.000 gli anziani  (Censis)
Rinuncia alle cure sia circa un italiano su dieci. (Cittadinanzattiva)

Ma …il denaro non prevale su tutto : nei Paesi ricchi si vive meno a lungo.
Negli Stati Uniti la spesa sanitaria per abitante è oltre quattro volte più alta di quella registrata in Grecia o in Cile nel 2014.
L’aspettativa di vita media in America è oltre due anni inferiore a quella della Grecia e del Cile.
Nessuna correlazione fra quanto spende in ospedali, macchinari o ricerca medica e personale sanitario il Paese più ricco e tecnologico e quanto a lungo sopravvivono i suoi abitanti.
Contestualmente,assistiamo ad una progressiva perdita di identità originaria dell’industria farmaceutica.
La nascita di medicamenti per sintesi chimica aveva avviato il processo di industrializzazione
della produzione farmaceutica, facendo del farmaco un rimedio innovativo per le sue capacità curative e per la sua ampia e facile disponibilità, ma anche in grado di determinare un profitto economico e, come tale, sottoposto alle regole del mercato.
Gli imprenditori univano alla competenza tecnico-scientifica,una sensibilità antropologico-sociale che li portava a produrre farmaci in grado di rispondere innanzitutto al bisogno di salute e non finalizzati esclusivamente a soddisfare istanze economiche.
La loro “aggressività commerciale” era contenuta e bilanciata dall’impegno etico profuso in ambito sanitario e sociale.
Valori e ideali dimenticati da manager delle moderne multinazionali farmaceutiche.
L’attuale logica di esasperare al rialzo i prezzi dei farmaci non potrà essere sostenibile a lungo.
Se continueranno ad arrivare sul mercato farmaci “miliardari” si renderà evidente la necessità di cambiare sistema.
Bisogna che le industrie farmaceutiche prendano in considerazione l’opportunità di bilanciare la copertura dei costi di ricerca e di produzione con un “investimento etico” che consenta loro un guadagno adeguato, non esagerato.

E’ il nostro secolo,
lo abbiamo fatto cosi, non serve piangerci sopra.
E’ stato un secolo di grandi scoperte e immense speranze.
Siamo usciti dall’universo medioevale, della Costanza e della Continuità,di cui Umberto Eco ha superbamente raccontato la fine nel suo straordinario romanzo “Il nome della rosa”,
siamo entrati nel mondo molteplice e paradossale della fisica quantistica, dove tutto si gioca a dadi e il “caos” regna sovrano.
Ma esiste anche un Caos deterministico.
Senza questa consapevolezza non potremmo capire la direzione del mondo. Che ha imboccato strade relativistiche.
Tutto è inafferrabile. discontinuo senza  sequenze.
Come mai prima d’ora, il Bene e il Male non hanno senso, combinati entro una funzione d’onda.
Separarli è impossibile, con gli strumenti tecnici, giuridici e morali di un tempo.
Il progresso della medicina con le nuove possibilità diagnostiche e terapeutiche rende irrinunciabile l’esigenza di dare un senso all’agire dei sanitari, mediante riflessioni che esplorino
il sentire di tutti coloro che vengono a contatto con la malattia.
“Nessuno sia “scartato” nella prestazione delle cure mediche, specie i “più poveri”.
Se si guarda all’Uomo nella sua totalità si può avere uno sguardo di particolare intensità ai più poveri, ai più disagiati ed emarginati.
La conoscenza ha bisogno di progredire facendo le domande e trovando le risposte sull’origine, il senso e la finalità della realtà, uomo incluso”.
  Papa Francesco 1°settembre 2016

Sensibilizzazione, ricerca, assicurare l’accesso alle cure, ridare humanities  alle accademie.
Chi esce, deve saper scrivere, pensare, ma soprattutto saper  interpretare, mettere in rapporto,  relativizzare, confrontare, distinguere, riconoscere il duraturo e l’effimero, capire la libertà, la bellezza, la varietà e la concordia.

I Visionari sono i Bimbi che, cibandosi di bellezza, costituiscono una Società migliore.
L’urgenza dell’emergenza.
Restituire alla bellezza, l’emozione del vissuto, la voce della Vita.
I Visionari esistono, resistono, riesistono.
Una sparuta minoranza di individui dotati di una “seconda vista”, non importa se compatiti come pazzi o venerati come poeti o perseguitati come corruttori.
Questa minoranza, è composta da uomini solitari, mistica autentica, non spiritualismo esoterico e alienante, ma seme deposto nel terreno.

Oggi,a Pergine
Per  il mondo di domani, preso in prestito dai nostri Figli.
Dovere ,impegno ad agire per un presente responsabile ed un futuro sostenibile nella consapevolezza degli obblighi verso la comunità locale e globale.
Impegno che guarda al futuro , ma che deve iniziare nel presente e dai luoghi a noi più vicini.

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