Venezia, la presidente della giuria, Cate Blanchett, non ha capito “Notturno“.
Tre anni passati da Rosi sui confini tra Iraq, Kurdistan, Siria e Libano, per raccontare, attraverso la gente comune, il Medio Oriente, devastato dai conflitti.
Non c’è commento, a parte le loro parole sommesse, i loro versi, le loro mani che cercano su quei muri luridi un conforto impossibile alla memoria. Non c’è tempo per la pietà.
Guarda il cielo, come è bello…, si dicono poi un uomo e una donna. Seduti l’uno di fronte l’altra, parlano d’amore.
Non c’è commento, a parte il contrasto dei loro sguardi inteneriti con quell’orrore di fondo, continuo, oggettivo, invincibile.
Sotto i cieli scuri, questi uomini e queste donne vivono. Così sempre accade, a tutte le donne e a tutti gli uomini, anche quando l’orrore sembra non conoscere fine. Accade alle soldatesse curde che la guerra non riesce a privare d’umana gentilezza.
Accade, ma con una fatica tragica, ai ragazzini e alle ragazze che alla loro maestra raccontano, stupiti e atterriti, quello che hanno visto fare dai soldati di un dio improbabile.
In uno sguardo caldo di partecipazione simpatetica e di umana solidarietà.