Gli sarebbe piaciuta l’idea che la figlia prediletta, quella prodigiosa costruzione alta più di trecento metri, si trasformasse nel più grande strumento musicale al mondo. E sicuramente avrebbe apprezzato il fatto che a far risuonare quell’incredibile intreccio di ferro, attraversato dal vento, fosse un uomo venuto dal Paese del bel canto e dalla terra delle opportunità, un italoamericano nato nel 1959 a Poughkeepsie, a nord di New York, da genitori toscani, di Monsagrati, Lucca, il padre boscaiolo e la madre camiciaia in casa. Gustave Eiffel, insomma, avrebbe stretto volentieri la mano di Joseph Bertolozzi, compositore, organista, percussionista, e avrebbe ascoltato rapito, scosso, meravigliato e sconvolto, come noi del resto, la sua incredibile sequenza di nove composizioni musicali, raccolte dal titolo Tower Music e oggi pubblicate in un cd delle edizioni Innova. Nove brani per Torre Eiffel, e i titoli sono bellissimi, come A Thousand Feet of Sound, The Harp That Pierced the Sky, The Elephant on the Tower, e Glass Floor Rhythms.

Nell’estate del 2013, Joseph Bertolozzi, insieme a Paul Kozel, ingegnere del suono, ha percosso con ogni materiale, dalle bacchette di legno ai martelli, dai tronchi al bambù, una selezione degli oltre diciottomila elementi metallici che compongono la torre, registrando diecimila suoni, e una volta a casa riducendoli a duemila ottocento, ognuno corrispondente a una nota della scala cromatica. Un lavoro immenso, che ha trasformato lo studio di Joseph, a Beacon, vicino a New York, in una strana fucina, tra incudini e consolle, ed è qui che lo abbiamo raggiunto. Alle pareti busti di Toscanini, Bellini, Rossini, Brahms e Dante, una copia firmata di Trois petites liturgies de la présence divine di Olivier Messaien, una bandiera americana, un gatto e un poster della Torre Eiffel. Che, a sorpresa, c’era già prima di ogni partitura. E a ben ragione.

La passione musicale di Joseph Bertolozzi si manifesta prestissimo, a cinque anni ascoltando i Beatles, e poco dopo, a letto malato, quando i genitori gli regalano un disco che racconta le biografie dei compositori, Bach, Mozart, Beethoven, Stravinsky, «una ogni dieci minuti, le ho sentite e risentite per giorni, e a quel punto ho capito che avrei voluto fare il compositore», ricorda Joseph. Passaggio obbligato sulle tastiere, organo, «e per caso, a quindici anni, attratto dalla copertina di un disco firmata da Salvador Dalì, ho scoperto la musica di Olivier Messiaen, subito il mio compositore preferito». Passa un anno, Joseph vola in gita scolastica a Parigi, sale sulla Torre Eiffel, vicino a lui una compagna di classe, Sheila, irlandese, lui la bacia, e sette anni dopo, finito il liceo e l’università, musica naturalmente, i due si sposano, e la Torre, in formato poster, rimane accanto a loro. Ancora un viaggio, questa volta in Italia, a Siena, Accademia Chigiana, dove nel 1979 Bertolozzi frequenta i corsi di Franco Donatoni, ed è anche il suo interprete per gli allievi d’oltreoceano. Al ritorno negli Stati Uniti, Joseph continua a suonare l’organo, matrimoni, funerali, chiese cattoliche e sinagoghe, continua a studiare e a comporre, «finché un giorno, il mio quarantacinquesimo compleanno, mia moglie mi ha regalato un gong». Magnifico, solare, la casa s’inonda di luce, e i gong aumentano, gong cinesi, giapponesi, birmani, svizzeri, italiani, «meravigliosi quelli prodotti a Pistoia». Corso di percussione, e Joseph è talmente nella parte che Sheila si diverte a imitarlo. «Joe, questo sei tu», dice la moglie vorticando le braccia e a un tratto, in quella danza del grande amore e della perfetta intesa sentimentale e musicale, Sheila colpisce idealmente il poster della Torre Eiffel. Nasce un’idea, folle. Musica per torre di ferro, percussione sinfonica per un solo strumento.

Le prove d’orchestra avvengono non lontano da casa, sullo Mid-Hudson River Bridge, tra Poughkeepsie e Highland. Nel 2007 esce l’album Bridge Music che velocemente entra nella Billboard Classical Crossover Music Chart. Un passo e Joseph scrive a Betrand Delanoë, allora sindaco di Parigi, «non una, sei volte, ma alla fine mi hanno ricevuto, ho spiegato il progetto e me l’hanno approvato». Con 40mila dollari di donazioni private, nel 2013 Bertolozzi arriva nella capitale francese e tra la fine di maggio e i primi di giugno sale su ogni piano della Torre, percuote ogni arcata, ogni porta, sfiora ogni trave, martella ogni rivetto – che per altro sono 2 milioni 500mila – carezza ogni griglia e su ogni lastra di metallo fa scivolare collane di perle e d’argento. Da quell’infinita registrazione – «con sensori a contatto per ottenere il suono più puro» – nasce una campionatura di note che percorrono i colori del giorno e della notte, del dolore e della gioia, base ricchissima per attraversare e reinterpretare tutta la storia della musica, dagli echi primitivi al contrappunto, dall’avanguardia al jazz, con citazioni affettuose al gamelan giavanese, strumento che aveva suggestionato compositori come Ravel e Debussy, e che era stato presentato in Europa proprio a Parigi durante l’Expo del 1889, la stessa della Torre Eiffel.

Come ogni vero compositore anche Joseph Bertolozzi sogna di eseguire la sua musica dal vivo, «e ho immaginato ottantacinque percussionisti, posizionati nei vari punti della Torre Eiffel, che seguendo la mia partitura suonano ognuno il loro strumento». Microfoni, altoparlanti, grandi schermi da concerto rock – per la cronaca gli Yes sono il gruppo preferito di Bertolozzi – sarebbe uno spettacolo monumentale, la Torre come un immenso gong, un’arpa, un ricchissimo xilofono che vibrando unisce la terra e il cielo, e celebra la potenza dell’armonia. «Ovviamente ci vogliono milioni di dollari, che purtroppo non ho, ma non dispero perché nel 2024 Parigi ospiterà i Giochi olimpici e ci sarà magari un nuovo smartphone da lanciare. Attendo lo sponsor, tutto il resto è pronto». Nell’attesa Joseph avrebbe in mente un altro progetto, sempre vicino a casa, la Statua della Libertà nella baia di New York. «All’inizio l’idea era piaciuta, ma poi i responsabili hanno pensato che fosse offensivo, io che prendo a martellate la statua, e allora hanno detto no. Ma avrei percosso l’interno e avrei riportato alla luce la musica nascosta in quelle travi da centotrent’anni». A Gustave Eiffel, che realizzò proprio la struttura interna del monumento, sarebbe piaciuta moltissimo anche questa idea.

Se la musica non è libera, che libertà è?

Laura Leonelli
Il Sole 24 Ore
29 luglio 2017

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