I Millennial
I sintomi sono inequivocabili: sguardo apatico, un’insofferenza strisciante per il mondo reale oltre a una scarsissima capacità di concentrazione.
Sono i Millennial chiamati anche generazione Y, ragazzi nati tra gli anni 90 e il Duemila.
Più figli di Internet che nostri, cresciuti tra Facebook, Instagram e Twitter. Prima generazione globale dove quello che conta è restare “online”.
Avete mai provato a entrare nella loro stanza?
Vi rimbalzeranno addosso la loro indifferenza, e con lo sguardo ipnotizzato sul cellulare, continueranno a chattare.
Catturati da un mondo digitale dove tutto si esaurisce in un istante, come la loro attenzione che gioca costantemente al ribasso. Salvo poi riattivarsi al primo tintinnio di Whats up. Ma,come direbbe Jessica Rabbit, “non è colpa loro se li disegnano così”.
Non si può sorvolare sulle pecche genitoriali. Padri e madri di cotanta generazione sono stati i genitori sconnessi di figli perennemente collegati, alla rete ovviamente. Ecco il corto circuito che fa saltare i nervi e i paletti educativi.
La generazione Y è stata protetta nel modo sbagliato da adulti distratti, a loro volta fragili, ansiosi nel dettare regole che loro stessi,un tempo, avevano contestato. Senza mai fare i conti con il fatto che i Millennial, non hanno nessunissima voglia di contestare.
Preferiscono volare basso e si accontentano di vivacchiare in quella terra di mezzo dove lo schermo acceso del computer è ammicco lampeggiante nella nebbia.
Non c’è dubbio, abbiamo contribuito a mettere al mondo una generazione di “sdraiati” come li ha definiti efficacemente Michele Serra nel suo libro.
Ma se si cresce tra i filtri di Instagram che deformano la realtà, come si può aver voglia di diventare grandi?
Molti di loro,nel frattempo, volenti o nolenti, lo sono diventati e hanno fatto il loro ingresso nella vita reale.
Ma qualsiasi impiego abbiano accettato, qualsiasi piega abbia preso la loro esistenza, sposati o single, restano attaccati al WiFi come a un grande ciuccio virtuale. Online forever.
Al ristorante con il cellulare al posto del tovagliolo, in piedi in metro con il telefonino alto in mano, come fosse una fiaccola.
Persino al cinema fingono di spegnerlo, poi lo girano, schermo a terra, per mimetizzare la luce. E lui, puntualmente, si illumina nel buio della sala. Un flash di felicità.
Ecco, un messaggio. E’ quel che basta per non sentirsi soli.
Studio Medico Boscovich