di Erica Poli e Maurizio Grandi
I giorni passano, quelli speciali e quelli
normali.
Le ricorrenze della memoria dovrebbero essere una bussola che orienti il pensiero, le azioni, gli intenti.
Ieri, 21 settembre, era la Giornata Internazionale della Pace: istituita nel 1981 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, è nata dalla volontà di creare un giorno all’insegna della pace mondiale e della non violenza.
Il nostro è un mondo afflitto dalle guerre: tra gli stati, tra i popoli, tra l’uomo e l’ambiente, nelle famiglie, nelle coppie, dentro l’anima del singolo, tra il suo corpo e la sua mente, a volte fin dentro alle sue cellule.
Non solo Siria e Yemen: ci sono le guerre che riguardano le minoranze del mondo, la violenza su donne e bambini, lo scempio in Amazzonia, i conflitti in Mesopotamia.
Il tema della giornata 2020 è stato “Shaping Peace Together”, “Creiamo la Pace Insieme” e nell’intento delle Nazioni Unite “rispecchia la situazione attuale dove siamo tutti impattati dalla pandemia da Covid-19 e dove, quindi, il nemico che dobbiamo affrontare è uguale per tutti e solo uniti possiamo proteggere noi stessi e gli altri.”
A cosa serve il cerimoniale di una giornata dedicata alla Pace?
Apparentemente a niente.
Non cambia la scacchiera del mondo, non salva un bambino dall’abuso che sta ricevendo mentre si scrivono articoli sulla ricorrenza, non mette fine alla moria delle piante e dei popoli.
Ma potrebbe fare qualcosa che è essenziale affinché tutto questo avvenga.
E quel qualcosa può essere tradotto in tre parole: cultura, sogno, comunione.
Cultura perché senza cultura, una società non ha futuro.
La cultura è il pane per l’anima dell’infanzia e la sostanza delle sue future ali.
Cultura non è tecnologia, è amore per la conoscenza.
Cultura della pace vuol dire conoscere le radici dei popoli, incontrarne le usanze.
Cultura significa deporre le armi all’uscio e almeno per una volta dialogare, far fluire parole, magari condividendo cibo e musica.
Almeno per una volta trovare un terreno comune.
Un modo antico, forse desueto, di costruire la Pace: ma chi divide pane e sale (o sorte) non si scioglie sulla terra, raccontavano dall’epoca di Serse alle Termopili.
Sogno perché la pace è un sogno, a cui non si può rinunciare.
È stata il sogno di grandi uomini e grandi donne che per la pace prima di noi hanno lottato e dato anche la vita, esseri umani dei quali non possiamo non onorare la memoria e non raccogliere l’eredità.
Comunione perché oggi più che mai, che conosciamo la biofisica e la biochimica dell’ecosistema di cui facciamo parte, sappiamo che da soli non si vive, che nulla può essere escluso dalla rete del tutto e stare bene.
Si chiama armonia, si chiama salute.
È per questo che la Medicina non può prescindere dal sogno della pace, dalla cultura della pace, dall’arte del fare la pace insieme.
C’è un filo sottile e potentissimo che collega la medicina, l’arte, la cultura, l’infanzia e la pace.
Medicina è arte medica, arte che per noi è parte essenziale della cura,
arte non fine a se stessa, ma occasione di cultura e di pace che si trasmette attraverso la cultura, occasione di conoscenza, di fratellanza dei popoli che determinano la pace sociale, economica, religiosa e di fratellanza dei piani fisico, mentale emotivo che creano l’armonia di un individuo.
Non vi è Medicina che si possa considerare tale se non cerca di coltivare questo sogno.
Salute è tutela dei diritti dell’Uomo e dell’Ambiente.
Cerchiamo ogni giorno di unire l’Arte, la Medicina, la Cultura per gli esseri umani di oggi, per quelli di domani, in nome di quelli di ieri.
Da questo sogno è nato anche il Corso di Alta Formazione in Antropologia della Salute.
Dallo stesso sogno i Mille giorni d’oro.
L’idea di promuovere la salute e la pace dal concepimento sino alla soglia dell’adultità attraverso la cultura che è in primis amore per la bellezza e per la biodiversità. Costruiremo la Pace? Chissà… ma perché non sognare che sia possibile?
Per approfondire l’argomento leggi il libro “Mille giorni d’oro” e partecipa al webinar. Se sei interessato a queste tematiche, iscriviti al Corso di Alta Formazione in Antropologia della Salute.