L’Afghanistan è uno dei posti peggiori in cui nascere, per una donna. A prescindere dalla presenza dei talebani.

Dal 2001 ad oggi erano stati raggiunti dei risultati, primo fra tutti il diritto all’istruzione e ad intraprendere una carriera professionale, ma anche piccoli traguardi sociali come indossare jeans, truccarsi, avere un profilo social.

Una ragazza occidentale che cerca di capire la condizione attuale di una ragazza afghana. Gli strumenti di comprensione che ha la prima, si limitano a qualche frammento di memoria storica trasmessole nel tempo, quel tanto che le consente di avvicinarsi alla condizione di conflitto e orrore che sta vivendo adesso la seconda, nella sua terra. L’altra: mamme, zie, nonne, che possono raccontarle storie su ciò che hanno vissuto prima della sua nascita e mostrarle il burqa che, nell’armadio, è rimasto sepolto e sospeso nell’incubo di doverlo tirare fuori di nuovo. Oggi, una realtà.

Cosa donare ad una coetanea che vede sgretolarsi nella bruttezza tutto ciò che è stato costruito da Lei e da chi è venuto prima. Quale conforto, consolazione, consiglio, parere? 

Alle Bambine del futuro, solo macerie, in tutti i sensi.

Unico punto in comune fra Loro: la cultura.

Contrariamente alle loro madri, le ventenni afghane sono ragazze che, pur acconsentendo formalmente al sistema integralista e misogino in cui sono scaraventate, costrette a bruciare le loro tessere universitarie per salvarsi la vita, vedendosi strappare qualsiasi carta e diritto dalle mani, hanno dalla loro l’istruzione e la cultura.

I talebani non potranno mai togliere alle donne afghane ciò che hanno nella mente e nel cuore; soffocarli nel silenzio e nell’oscurità di un velo. Tutto quello che è stato costruito in quel periodo in cui ancora si poteva sognare, immaginare, desiderare di avere un futuro in cui essere protagoniste della propria vita, narratrici della propria storia, rimane intatto e custodito, lontano dalle coercizioni esterne.

Nella loro testa, la piena libertà.

Nei momenti difficili che affronteranno

Una poesia imparata a memoria, un romanzo letto, la testimonianza di altre persone che come loro hanno sofferto per una guerra o una qualche altra forma di tirannia.

Una canzone, una sinfonia,

saranno di aiuto e conforto.

Un angolo di bellezza, nella bruttura di una guerra improvvisa, in cui rifugiarsi.

Uno spiraglio.

Un attimo di respiro.

Donne che fanno la rivoluzione attraverso l’evoluzione storica del loro status nella tregua che è stata

cancellata in un attimo ma non dimenticata,

di cui resta un ricordo sbiadito ma persistente, dentro di loro.

Vent’anni dopo, l’Afghanistan è un Paese di anime nascoste, di spiriti guerrieri affranti, affronta i talebani con un passo diverso, determinato proprio dalla popolazione femminile che, nonostante occhi velati, bocche tappate, gambe frenate, mani bloccate

adesso ha l’arma della conoscenza e della condivisione.

Libere di testa, in un tempo di non-scelta, ma consapevoli.

Come raccontare la forza di giovani donne quando, con grazia e pazienza,

e tanta cura

riescono a resistere all’orrore

Mosse da speranza e desiderio di bellezza

Perché dare vita alla Vita è parte della loro stessa natura.

Come fare a dire Loro che c’è sempre qualcuno che nascerà, e vivrà, e potrà cambiare le cose, le idee, il corso della storia

E che immaginare è il primo passo per creare

E che se fosse un uomo ad iniziare questo cambiamento, perché in questo periodo ha più mezzi, ha più strumenti e risorse,

e possibilità

Un uomo nato dal Loro ventre

In seno ad una guerra che, per ora, non finisce

Ma che potrà partorire Uomini

Con Donne, libere, al loro fianco?

Post correlati