di Erica Poli e Maurizio Grandi
Quale è il limite tra il sacro e il profano? Cosa o chi lo stabilisce?
La storia ci mostra il paradosso dell’avvicendarsi di leggi e costumi, apparentemente, in grado di mutare la verità.
Così, quel che era sacro nel mondo “pagano” degli Antichi, diventa profano nel mondo “cristiano” che gli succede nel corso delle epoche.
Quel che era “vero” presso gli Antenati, diventa falso per chi vuole stabilire un nuovo ordine per le cose.
Forse della verità, non può che rimanere il profumo.
Qualcosa che non si cattura, non si stringe tra le mani, non si possiede.
Si riconosce, risveglia i sensi e la memoria, è da sempre sacro e profano assieme.
Le rotte delle spezie e delle resine, l’ambra, la mirra, l’incenso, rivelano la doppia anima dell’aroma sacro e della fragranza magica ed erotica.
Eppure c’è un filo sottile, sotterraneo, che fluisce tra la religione e la magia, intesa come sapienza di quei Magi che raggiunsero il Bambino per onorarlo di metalli preziosi e magica mirra, condotti sino a Lui dalla luce della stella cometa.
In quel tempo non vi era ancora cesura tra sacro e profano.
Nella cesura che venne dopo, giace l’eresia.
Ed eresia rima con utopia ed entrambe forse, in una intercapedine impalpabile, rimano con verità.
In questa intercapedine, come fosse un nuovo sito dell’aldilà dantesco, si potrebbero incontrare, tanto per citarne alcuni, Maria di Magdala, Telesio, Giordano Bruno, Tommaso Campanella, Gioacchino da Fiore.
Ma anche tutti quei Santi Cristiani delle origini e quelle Donne Cristiane delle origini dimenticate dalla storia maschile, che finirono crocifissi, arsi vivi, martirizzati al tempo delle persecuzioni romane.
Curiose le giravolte della storia, dove chi eredita il destino dei martiri della fede che professa, proprio in presunta difesa di quella fede, finisce per compiere le stesse torture che la insidiarono.
Usata nella cultura cristiana per indicare una dottrina che si allontana dalla predicazione apostolica, “eresia” (hairesis) è parola costruita sul verbo “hairein”, che nell’antica lingua greca significa “prendere una cosa trattenendola nel proprio ambito e, quindi, togliendola via dal luogo in cui si trovava, sì che questo prendere è uno “scegliere”, avendo la forza di mandare a effetto ciò che è scelto”.
Allora eresia ha poco a che vedere con la profanazione della verità, piuttosto è l’atto di chi trafuga un tesoro per salvarlo dalla predazione dei briganti.
Come salvare una pianta rara dalla foresta amazzonica in distruzione e condurla lontano perché non si perda per sempre.
Come riempire l’Arca quando si fiuta l’arrivo del Diluvio.
Come far viaggiare il Graal attraverso le epoche e i luoghi affinchè le epoche e i luoghi non lo distruggano per sempre.
Quando il contesto inquinerebbe oltremodo il contenuto, qualcuno con coraggio lo “sceglie” e lo porta via, facendo sì che torni a manifestare in purezza il suo senso.
Quando una società con i suoi costumi degenerati finirebbe per corrompere irrimediabilmente i valori di verità, bontà e bellezza, che dalla notte dei tempi si tramandano, questa società tende a terminare.
Quando un ciclo è esaurito, la Natura lo conclude.
Eresia: tramandare, oltre i cicli e le società, il tesoro.
E sei secoli prima di Cristo, il popolo greco, per la prima volta, prende le cose del mondo , togliendole via dal loro essere interpretate dal mito e le trattiene all’interno di una “sapienza”, ma per la sua verità, cioè per l’impossibilità di essere negata dalla mente dell’uomo.
La “scelta” di questa sapienza , che è libera da tutto ciò che non sia la verità , è l'”eresia” da cui nasce la civiltà occidentale e prende il nome di “filosofia”.
La verità si impadronisce delle cose. La filosofia è l’eresia originaria.
La società cristiana prende posizione rispetto a essi in modo analogo a quello in cui la democrazia ateniese , ancora avvolta dal mito, condanna Socrate.
Muoiono, Socrate e Bruno, per aver “scelto” di farsi guidare non dal mito, ma dalla verità.
Eresia e filosofia sono intimamente legate, assieme all’ossimoro libertà e politica.
Solo se le leggi che guidano lo stato sono leggi della verità, lo Stato può esistere realmente e non in apparenza.
Invece vediamo accadere non Stati, ma instabilità. Come stabilità resa possibile dalla verità, lo Stato non ha ancora luogo, è ancora “senza luogo”, senza filosofia, senza eresia.
È la notte di San Lorenzo: per qualche giorno la Terra incontra le Perseidi, detriti dispersi di una cometa.
Non ci restano che i frammenti, ma abbastanza per non poter dire che la cometa non si trova più, abbastanza per non poter cedere al relativismo ottuso di una modernità senza verità da cercare, senza una filosofia da far scendere dalle stelle come continuarono a fare gli allievi di Socrate e di Platone e poi Plotino e Ipazia.
Le stelle cadenti nell’agiografia evocano i carboni ardenti con cui venne arso vivo secondo la leggenda Lorenzo martire, o forse sono le lacrime che il santo pianse.
Quanti furono arsi vivi dopo di lui nelle persecuzioni e quante donne poi finirono sul rogo al tempo delle Streghe…
In odore di santità, in profumo di eresia: in realtà non c’è differenza, se la ricerca è quella della verità.
L’unica differenza è in chi inspira il profumo, come in chi non solo riconobbe la stella, ma ebbe il coraggio di seguirla nell’ignoto.
L’aroma della verità non si definisce, non ha confini e limiti, si tramanda, solo a chi lo riconosce tra mille dozzinali fragranze e sceglie, ereticamente, filosoficamente, di seguirlo.
“Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori che sono i bruti; tu potrai, secondo il tuo volere, rigenerarti nelle cose superiori che sono divine..”( Giovanni Pico della Mirandola Oratio de hominis dignitate)