Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti.
Ogni individuo ha diritto a un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere.
Ogni individuo, in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale, nonché alla realizzazione…dei diritti economici, sociali e culturali.
Il 10 dicembre è la Giornata Internazionale dei Diritti Umani. Nata nel 1948, “la Magna Carta dell’umanità”, citando Eleonor Roosevelt, proclama sostanzialmente in trenta articoli le norme internazionali per essere umani.
Diritti “inalienabili” proprio perché acquisiti con la nascita, per essere venuti al mondo, in qualsiasi luogo, in qualsiasi epoca.
Umanità, appunto. Verità da riproporre quando non esiste più verità o quando la nostra, “occidentale”, viene sempre più assimilata a “universale”, malgrado sia ogni giorno più inadeguata e fragile. I progressi tecnologici degli ultimi anni, malgrado la velocità con cui procedono, contribuiscono minimamente ad aiutare una popolazione mondiale sempre più povera, con una disponibilità di cibo e di beni di prima necessità sempre più ridotta.
Liberi e uguali in dignità e diritti
Speranza di vita. Mentre nei Paesi ricchi tre decessi su quattro sono imputabili allo stile di vita, nei Paesi in via di sviluppo le persone muoiono e si ammalano perché non dispongono di acqua potabile o perché non ricevono cure.
Umanità: diritto calpestato e offeso dalle guerre che non si arrestano, dai genocidi dell’Oriente e i femminicidi dell’Occidente, dagli obiettivi dell’OMS posticipati all’infinito, anche se, parlando di speranza, possiamo fermare il nostro pensiero preoccupato al 2030…
Esseri umani: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo?
Particolare configurazione di una società evoluta, apoteosi del concetto di civiltà, espressione massima di disinteressamento verso l’Altro, a Suo favore; presenti in qualunque luogo e situazione lo sguardo del bisognoso si rivolga. Simbolo di unione, costruttori di ponti umanitari prima ancora che culturali e politici: i volontari.
Fra gli obiettivi OMS del 2021, Agire solidali: “Dalla lotta al Covid-19 è emersa la necessità di dimostrare maggiore solidarietà tra nazioni, istituzioni, comunità e individui. Nel 2021 daremo priorità a questo, lavorando con i giovani, rafforzando ed espandendo le partnership con la società civile ed il settore privato e collaborando con la neonata Fondazione WHO”. Solidarietà e volontariato contribuiscono ad una loro definizione vicendevole. La solidarietà si concretizza nell’operato del volontario, come “rapporto di fratellanza e di assistenza reciproca che unisce i membri di un gruppo”; dal francese: solidarité; derivato dal latino: solidus solido.
Diritto alla sicurezza sociale, nonché alla realizzazione…dei diritti economici, sociali e culturali
ARTABAN: una ONLUS che promuove e realizza progetti di sviluppo nei Paesi più poveri del mondo, Italia compresa. I volontari si muovono nell’ambito della cooperazione internazionale e dell’aiuto umanitario, con uno sguardo rivolto in particolare alle donne e ai bambini.
“Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale”. Apolitica, apartitica, finanziata con soldi propri. Energia e tempi propri, dei volontari che ne fanno parte, di quelli che la sostengono da lontano, o più direttamente, sul campo.
Per Artaban, costruire ospedali, pozzi, scuole, dal Burkina Faso al Mali, dall’Ecuador al Nicaragua, e in molti altri Paesi in via di sviluppo, significa aiutare le popolazioni i cui governi si dimostrano incapaci di sostenere e puntare a quel “welfare” di cui tanto si sente parlare anche nei Paesi economicamente più avanzati, diventato più un vizio lessicale che una realtà concreta. Voto politico a parte, fatti e riferimenti alle recenti elezioni in Nicaragua del tutto casuali – questo tanto ambito “welfare” rimanda ad un concetto di benessere totalmente slegato alle radici prima che sanitarie, culturali e sociali, del ben-essere a cui un Paese dovrebbe puntare.
Il contributo che offre Artaban nei Paesi in cui opera punta all’autosufficienza delle persone aiutate, lontano dalla logica della dipendenza di un Paese verso un altro più sviluppato; punta alla loro “crescita professionale attraverso attività di formazione nei diversi campi, anche in collaborazione con altri enti e associazioni”. Oltre all’invio di volontari e materiali, la Onlus paga la diaria per chi studia in strutture locali già esistenti a partire dalla popolazione femminile, costituita da giovani ragazze orfane o portatrici di handicap psicofisici; o ne crea ogni anno di nuove, per accogliere studenti che frequentano le scuole lontano dai villaggi dove vivono con le famiglie. Non ultima, la recente ricostruzione della scuola elementare di Sandia, in Mali, nata all’interno di un progetto che prevedeva la perforazione di un pozzo di 60 metri di profondità che desse gratuitamente acqua potabile a 300 alunni, ai loro insegnanti, agli abitanti del villaggio, per irrorare i campi e abbeverare gli animali.
Artaban, declinazione non dei massimi sistemi, ma del piccolo gruppo che con impegno e dedizione rischia la Vita per l’Altro, tenendogli e tendendogli la mano nelle difficoltà.
Mettere in campo risorse mentali e fisiche, affrontare sfide personali, avere coraggio. Il volontario che, in maniera gratuita, sia in senso economico che (possiamo dirlo?) spirituale, con una disposizione d’animo aperta e accogliente, si mette in gioco con l’Altro, a servizio di una causa che punta nel presente a dare delle basi solide per il futuro.
Gocce nell’oceano, nell’umiltà e nella consapevolezza, tipiche del Volontario, di chi sa che non è mai abbastanza quello che si può fare per aiutare, ma che anche nei più piccoli risultati raggiunti vede traguardi che segnano una nuova rotta da seguire per chi soffre e chiede aiuto. L’appagamento e la soddisfazione di chi si alza la mattina sapendo di poter dare un sorriso a un bambino in difficoltà, è qualcosa che solo chi si dedica con tutto se stesso a voler bene ad un’altra persona può comprendere. E sentire.
Tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere
Oggi a Torino nevica. È la prima volta che vedo la città innevata. Sto godendo dell’atmosfera natalizia che si respira per le strade, le persone che si muovono al ritmo della neve che cade. Il mio unico problema, in questo momento, è cercare di non prendere il raffreddore dopo essere stata con gli stivali bagnati in giro tutto il tempo, e aver rischiato di scivolare più volte di quante vorrei ammettere. Mi sento fortunata, molto fortunata, e mi prendo del tempo, già grande privilegio, per osservare dall’esterno quello che sto vivendo. La neve, grazie al suo potere di portare silenzio dove poco prima c’era cacofonia, mi consente di ascoltare i miei pensieri, e di riflettere su ciò che sta accadendo intorno a me.
Giornata Internazionale dei Diritti dell’Uomo, dell’essere umano. Penso a questa giornata e a coloro che vivono a 2000 km di distanza da me, e stanno vivendo l’inferno. Penso a chi non ha mai sentito il Natale dentro di sé, perché ha nel cuore scene di guerra, la sensazione del caos, la solitudine. Penso a coloro che si sentono costretti a fare delle scelte in una logica di sopravvivenza, invece che di maggiore benessere per sé e per la propria famiglia, ammesso che sia ancora integra. Penso ai ventenni burkinabè, penso alle bambine siriane, alle donne curde, penso agli estremisti, ai terroristi di Oriente e Occidente, penso ai politici di oggi.
C’è ancora qualcuno che spera, anche nella nostra società?
Ci si può ancora permettere di lasciarsi andare all’istinto che ci porta ad aiutare l’altro, o abbiamo represso qualsiasi forma di movimento verso chi ci sta vicino, che ci distingueva come specie animali raffinate, in grado di creare, oltre al branco, una vera e propria comunità, civiltà, società?
Quanti punti da rimettere in discussione, dove orientare il proprio sguardo, per imparare?
In quanto a specie sociale, abbiamo bisogno dell’altro per affermare la nostra identità, per evolvere, per decidere: guardiamo fuori di noi, ma non vogliamo il confronto con l’altro. Ci sentiamo soli, ma non siamo più abituati agli abbracci. Parliamo di felicità, scriviamo libri, leggiamo poesie, ma ci mettiamo la mascherina oltre che per questioni sanitarie oramai anche emotive e sociali, e ci lamentiamo che quest’anno Natale cade di sabato.
Non c’è più un senso profondo dell’esistenza, non c’è un attaccamento alla Vita ma pensiamo moltissimo a non morire, non c’è la voglia di trovare significati personali e profondi al nostro Essere. C’è lentezza, nella fretta frenetica di un orologio onnipresente che scorre all’impazzata di una giornata lavorativa in cui non sappiamo se piova o ci sia il Sole al di là della scrivania; pedanteria, formalismo asciutto e superficiale, o, al polo opposto, la disperazione che scivola verso l’oblio, il panico. L’ansia. L’assurdo.
A 2000 km di distanza da me, in Burkina Faso, in questi giorni, la società civile è in rivolta contro il governo e le forze militari francesi presenti sul territorio. Giovani sfiduciati e senza prospettive, manovrati dal terrorismo che tiene in mano il loro futuro. Giovani costretti dalle circostanze attuali ad agire con i jihadisti che si muovono indisturbati su fasce territoriali sempre più estese, portando con sé morte e repressioni. Non c’è più, se mai questo Paese l’abbia sperimentata – insieme ad altri come il Congo, una distinzione fra il bene e il male. C’è solo fra il male e un male minore.
Sopravvivenza, senza speranza, concretizzata in azioni ragionate per quel tempo necessario a raccogliere tutto ciò che si ha e aderire, senza mediazioni di pensiero alcuno, a quella parte che qualcuno definirebbe “malvagia”.
Gesti estremi anche da chi estremista non è, come le donne afghane che passano i bambini, i propri figli, ai militari di là dai muri. Muri, divisioni, confini; limiti invalicabili (e ostici e ostili).
Il volontario, nel suo essere umano, costruisce ponti. Ponti che uniscono due sponde confinanti, di fronte l’una all’altra, a chi e a tutto ciò che è “altro”, e diverso.
Fa paura, andare verso una comunità umana, costruire una rete costituita non da cellule terroristiche e terrorizzanti, ma da organismi uniti in relazioni, nuove e impreviste, a formare un corpo unico.
La forza del volontario che, nella solidità di chi ha compreso la propria missione, nella fermezza di chi sa qual è la sua strada, guida e dona luce a chi è immerso nel buio. Partendo da ciò che è essenziale, e perciò, vitale: la salute.
Per migliorare le condizioni di vita delle popolazioni a basso reddito, Artaban invia medici specialisti che affiancano i colleghi locali, ma anche artigiani e tecnici, oppure provvede ad una informazione mirata sui comportamenti più corretti da tenere per evitare malattie, infezioni, e per una migliore igiene alimentare.
Proprio in Burkina Faso, il Prof. Halidou Tinto, Direttore Regionale dell’IRSS a Nanoro, è stato proclamato vincitore 2021 nella categoria “Scienze mediche e della salute” nel concorso per il miglior scienziato organizzato ogni anno dall’International Achievements Research Center (IARC) del Canada. Lo scienziato ha condotto, insieme ad altri importanti studi, numerose ricerche e sperimentazioni sull’epidemiologia e sui meccanismi di resistenza ai farmaci per la malaria, contribuendo a cambiare la politica di trattamento per questa malattia sia in Burkina Faso che in Ruanda.
Il diritto di solidarietà sociale, per l’uomo come individualità e come collettività. Uomini e donne, professionisti e volontari, ma soprattutto esseri umani, che contribuiscono a rendere questo mondo più solidale, più solido, per chi è debole e fragile e ha bisogno di aiuto; e si è perso, o peggio, ha perso la speranza.
Se penso ai Volontari mi sento degna di esercitare e avere dei diritti e, imparando da Loro, li esercito. Pretendo, come un dovere, che anche gli Altri li abbiano, e mi sento parte di questo mondo come un albero piantato per terra.
Photo: Solidarity In Stars- Ricardo Levins Morales https://www.rlmartstudio.com/