Cristina e le Donne.

di Cristina Pezzoli Poli

Ogni volta che leggo la biografia di donne cosiddette famose, che hanno inciso, l’una per un verso, l’altra per un altro, nella storia della loro epoca e in quella del mondo stesso, che sono divenute i simboli degli ideali che hanno incarnato nella loro vita, ogni volta che leggo di loro, mi stupisco di scorgere in tutte queste donne, le peculiarità e le caratteristiche che sono in nuce in tutte le donne.

Quindi: introspezione, audacia, costanza, pazienza, fede, perseveranza, decisione.

In una parola sensibilità ed attenzione al sentire.

Allora perché tutto ciò non lo si ritrova sempre, in ogni donna, ma solo in alcune?

Credo che per alcune donne sgorghi senza freni e venga lasciato sgorgare così come è.

E’ il mondo interiore delle emozioni, che sbaragliano il “ciò che deve essere nel modo giusto”, inteso come ciò che per protocolli deve essere per tutte e allo stesso modo.

Queste donne hanno in sé una forza ed una capacità innata di fare a modo loro, tutto sommato non importa a che prezzo.

Hanno in sé il loro counselor filosofico, per usare uno di quei tanti termini che oggi vanno di moda.

Questo mondo interno, questo dialogo costante e segreto con una propria metafisica, permette loro di enucleare il loro essere e il fare senza alcuna razionalizzazione inutile di ciò di cui sentono l’esigenza, piuttosto perseguendolo pervicacemente senza alcun se e alcun ma.

Hanno lasciato semplicemente seguito al cervello del loro cuore.

E questa forma di comando interno conduce all’unicità, la sola cosa che conta incarnare nella vita.

La vita: ognuno porti se stesso e tutto ciò che è, con le proprie individuali potenzialità per unirle a quelle di tante altre unicità, allora il disegno sarà completo e grandioso.

E sarà indubbiamente il migliore.

In Cristina, in questa donna vissuta in un periodo storico travagliato e bisognoso di azione forte con cui tradurre grandi ideali in risultati e cambiamenti di paesi, vite, popoli, culture, si scorge esattamente quel che ho argomentato sinora.

Nata nel 1808, che sembra oggi già così lontano, ma in fondo era l’epoca dei nostri bisnonni o trisnonni, a partire dall’infanzia, in ambiente agiato ed aristocratico, le sue malinconie e il suo disagio finiscono scambiati per timidezza, quando forse non sono altro che il rifiuto di fronte al giudizio del mondo adulto rigidamente modellato che la guarda.

Soggetto anticonformista, fu intrepida in tutto, anche nella sua fragilità di salute, di crisi epilettiche ed asma.

Dopo la fine del breve matrimonio con quell’uomo, che divenne poi amicizia o presenza di tutta una vita, forse perché da lei comunque fortemente voluto pur sapendolo non adatto a lei, negli anni ’20 frequentava patrioti e carbonari, mettendosi in posizione di attenzione con la polizia austriaca. Quando questa le sequestra tutti i beni, decide di trasferirsi in Francia.

A Parigi, amicizie con intellettuali e storici come Thierry, conosciuto in casa di cura dove inizialmente si reca per curare tra l’altro anche la sifilide contratta dal marito, tutti quanti, Thierry compreso, innamorati della sua intemperanza, vanno di pari passo con i piccoli lavoretti che le permettono di vivere. Ma lei cambia ancora le avversità in fortune: protagonista dei salotti bene parigini, perora la causa italiana in Francia.

Ammirata, colma di spasimanti, non si ferma, niente più la distoglie dai suoi intenti: scrive articoli, ordisce e finanzia il colpo di stato che liberi e unisca l’Italia.

Mette al mondo una figlia. Torna in Italia, si prodiga per lenire le miserie della sua gente di Locate. Poi via d nuovo a Roma, a Napoli, inneggiata come la principessa eroina della liberazione. Parte con una nave per le Cinque giornate di Milano.

Quando Milano viene ceduta di nuovo all’Austria deve fuggire ancora e riparare in Francia. La sua attività di giornalista non si ferma… e poi è Mazzini a richiamarla a Roma per gestire gli ospedali dove i feriti della rivoluzione arrivano senza tregua…

Ne apre 12 in una manciata di giorni, raccoglie a sé tante altre donne che si prodigano senza sosta al capezzale dei feriti e dei morenti. Ecco quel femminile di cui parlo: forte, impavido, che sa fare quel che si deve fare.

E poi in cerca forse di una tranquillità che non avrà mai e probabilmente non avrebbe realmente voluto, viaggia sino a Smirne: conosce il fascino dell’hashish, visita gli harem e vede dietro alle grate e ai chador le invidie e i soprusi terribili della competizione femminile tra donne prigioniere.

In Oriente subisce un grave attentato: sotto gli occhi di terrore della figlia che la implora di non morire, si ricuce da sola i tagli delle coltellate.

Infine, l’Unità è fatta, l’unico uomo che forse abbia amato teneramente, lo Stelzi, è morto già da anni e anni e suo marito pure, e lei torna alle sue radici, nel suo palazzo, sua figlia è sistemata, in un buon matrimonio… ma la sua natura unica rifulge anche sulle rughe, i suoi occhi grandi e originali non smettono di brillare.

Madre, donna, intellettuale, cortigiana, patriota, rivoluzionaria, giornalista, infermiera… quante donne in una.

La sua storia riempie romanzi e biografie: famosissima nella sua epoca, oggi in pochi la conoscono.

Quello per cui va più di tutto ricordata, persino al di là delle sue gesta, quello per cui ancora oggi può insegnare qualcosa, è il modo con cui sia riuscita a preservare la sua personalità pur mantenendo il suo rango, ad essere unica e anticonformista pur non perdendo la sua posizione e l’appartenenza al mondo da cui proveniva.

Forse non c’è bisogno di andare in India, vivere alla maniera hippie, inventarsi le discipline alternative, new age, energetiche, quantistiche, per essere anticonformisti, unici, coraggiosi, originali: basterebbe pensare con la propria testa, fare a modo proprio, esprimere in ogni situazione la propria identità.

 

 

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