La letteratura sta tra due epiche: quella di Omero, l’Iliade e l’Odissea, e quella di Nonno di Panopoli, le Dionisiache.

Il compito più alto della letteratura, per gli antichi corrisponde all’esercizio dell’epos. Senza epos non c’è sublime. Chi vuole la gloria deve salire.

Omero e Nonno, dai due estremi di un “lungo tempo”, condividono il mistero biografico.

Nonno nacque in Egitto, nella prima parte del quinto secolo, in una città che prende il nome dal dio Pan. Forse fu cristiano, e se lo fu, gli si può attribuire anche una parafrasi del Vangelo secondo Giovanni.

Quarantotto libri, tanti quanti quelli dell’Iliade e dell’Odissea messi insieme. Il tema è la vita di Dionisio, il dio del vino: nasce, ama, combatte contro chi lo contrasta, scontrandosi con Poseidone, penetra in Europa, arriva a Tebe e s’innalza in cielo.

La selettività omerica, apprezzata da Aristotele, concentrazione e tensione verso un solo fine unificante, è diventata discontinuità, elefantiasi narrativa, proliferazione metastatica, come quando si vive in un’epoca tarda come quella di Nonno. Il nuovo non consiste nell’ inedito, ma nella galvanizzazione del vecchio. Nonno è l’opposto del pioniere, è un epigono, un epigono titanico. Ci trascina in un magnifico archivio di miti, alcuni dei quali unici, rastrellando materiali, fa dell’antichità una sua costruzione, esultando alla potenza vitale del cosmo e allo spasmodico trasformismo delle cose e dei viventi, di cui Dioniso è simbolo supremo

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