Chi potrebbe immaginare oggi che Giuseppe Tartini, l’autore della rara sonata per violino “Il trillo del diavolo” fosse destinato dai suoi genitori a vestire l’abito di San Francesco nei minori conventuali?
Complice fu quel sogno … compiuto a 21 anni … Ma andiamo per ordine.
Suo padre, Giovanni Tartini, pur di spingerlo a diventare frate aveva fatto fabbricare a proprie spese, due stanze nel Convento. Un’impresa che nulla valse. Come scrive, infatti, l’Abbate Francesco Fonzago, al quale si deve la sua biografia, il giovane Giuseppe ”mostrata ripugnanza per il Chiostro, vestì l’abito di Prete e fu inviato allo Studio di Padova” per apprendere l’esercizio dell’avvocatura. Sembra, però, che i suoi interessi principali fossero la scherma e il violino: due discipline apparentemente agli antipodi sebbene accomunate da necessarie virtù quali destrezza, concentrazione e costanza nell’apprendimento.
C’è da dire che senza il sacro fuoco della passione che accende e motiva i sensi si può diventare eccellenti esecutori, ma non artisti e Giuseppe artista lo era. Forse, però, ancora inconsapevole vista la volontà dei genitori propensi ad avviarlo verso tutt’altra strada. E la passione lo guidò nella frequentazione di Elisabetta Premazone, “modesta bensì et avvenente” nipote del cardinale Giorgio Cornaro, tanto che decise di sposarla a dispetto della sua condizione (vestiva gli abiti di Abbate). Si fece, quindi, prestare da un amico gli abiti da secolare inventando una scusa e concluse il suo progetto matrimoniale all’insaputa dei genitori. Ma questo atto di “insubordinazione” gli costò molto da vari punti di vista. La famiglia della moglie era dipendente del Cardinale, Vescovo di Padova, che non tardò a perseguitarlo, tanto da costringerlo ad allontanarsi anche dalla moglie, fuggendo vestito da pellegrino. Il ritiro del supporto economico da parte della sua famiglia non tardò ad arrivare. Tutto questo, però, non lo sconfisse e Giuseppe si rifugiò ad Assisi dove si trovava un suo parente, Padre Maestro Torre da Pirano, custode del Convento dove rimase in incognito per tre anni circa e dove ebbe il tempo di approfondire magistralmente lo studio del violino. Nessuno sapeva dove si trovasse finché, una folata di vento, spostò la tenda che lo nascondeva mentre suonava il violino durante la Messa. Circostanza, questa, che in fondo gli giovò, perché ebbe il perdono del Cardinale e della Madre, nel frattempo rimasta vedova.
Giuseppe Tartini era ancora guidato dalla sua buona stella.
Si trasferì a Venezia con la moglie e nel 1714, a 22 anni, mentre si dedicava allo studio dei principi teorico-pratici e alle leggi che regolano l’armonia, scoprì il famoso terzo suono che scaturisce dall’esecuzione di due altri suoni simultaneamente. Tutto questo senza l’aiuto di strumenti sofisticati, ma affidandosi esclusivamente alla percezione uditiva. Continuò per tutta la vita ad interessarsi ai problemi acustici e armonici. Amava le corde vuote sul violino e gli accordi formati dagli intervalli di quinta, pur andando contro le regole dell’armonia che volevano l’accordo completo dell’intervallo di terza che pure è presente nelle sue composizioni. Secondo Tartini, infatti, gli accordi formati solo dalle quinte arrivano all’orecchio più ricchi di armonici, soprattutto nelle composizioni a due violini, viola e violoncello. Era un fautore delle canzoni popolari che definiva “… di antica tradizione, adottate dal genio comune”. Amava la poesia e spesso sotto al testo musicale appariva un verso o frammenti di versi in relazione al suo contenuto espressivo.
Nel 1723, quando fu invitato dall’elettore di Sassonia a Praga nell’occasione dell’incoronazione di Carlo VI Imperatore, era già famoso in tutta Europa tanto da essere chiamato il Maestro delle Nazioni e schiere di promettenti violinisti chiedevano di essere suoi allievi. Rimase per tre anni a Praga prima di fare ritorno a Padova come primo violino nell’orchestra della Basilica del Santo, dove volle restare fino alla fine. Una decisione in linea con la sua natura semplice, in armonia con se stesso eppure determinata nel perseguire ciò che gli appare giusto senza condizionamenti esterni, convinto che le proprie scelte, anche se difficili portino al discioglimento degli ostacoli.
Tartini è conosciuto da tutti, anche dai non musicisti per il famoso “Trillo del diavolo”, ebbene quando racconta al suo amico De Lalande all’età di 21 anni, nel 1713, il sogno che lo spinge a scrivere la famosa sonata, è soprattutto incuriosito, non turbato. E’ la curiosità del sapere che apre nuove strade alla conoscenza. Tartini racconta al suo amico di aver sognato che il diavolo voleva offrirgli l’esaudimento di ogni desiderio e che il suo unico desiderio era sapere se il diavolo fosse in grado di suonare il violino. Il diavolo così esegue una sonata fantastica, tale che nessun orecchio umano aveva prima udito.
Svegliatosi, Tartini imbraccia il violino e tenta di riprodurre quei fantastici suoni che, a suo dire, non vennero mai alla luce come li aveva uditi nel sogno, ma fu in parte appagato nel comporre la famosa sonata “Il trillo del diavolo” che ne ricordava alcuni suoni.